lunedì 22 agosto 2011

Il cielo stellato sopra di me

C'è un punto sull'uscita dalla superstrada Ascoli-mare immediatamente precedente alla prima piccola curva in cui puntualmente dimentico di scalare la marcia e che faccio in quinta piena nonostante il buonsenso mi ricordi che la quarta sia in teoria la scelta migliore. Da quel preciso tratto, non un metro dopo, un automobilista sufficientemente distratto da dimenticarsi gli abbaglianti azionati e che presumibilmente ha anche regolato male l'altezza dei fari è capace di illuminare il tetto della mia casa, ed è lì il posto dove mi trovo.

Non sono mai stato costante nello studio, lo riconosco, e la mia preparazione preuniversitaria si sta riducendo a nient'altro che questo: stare sul tetto a guardare le poche macchine che nonostante la discreta distanza riescono comunque ad illuminarmi.

Si prova una strana sensazione nello stare lì sopra, in primis per i vicini. Vi è un unica abitazione che comprenda nella sua visuale il posto in cui mi trovo. Chissà che sorpresa nel vedere un tale che si arrampica sul tetto di una casa, penserebbero a un ladro, magari chiamerebbero impauriti nel cuore della notte dicendo alla cornetta o al citofono "C'è qualcuno che si muove vicino la vostra finestra della mansarda", poi che risate che mi farei nello spiegare l'equivoco.

Una volta mi è capitato nonostante l'ora decisamente tarda di trovare un uomo ancora sveglio sul balcone, impegnato nel fumarsi un ultima sigaretta prima di addormentarsi. Non abbiamo niente in comune, ci saremo scambiati sì e no qualche parola in tutti questi anni. Eppure in quell'istante siamo stati vicini, ognuno con la sua sigaretta, ognuno con le braccia ugualmente raccolte, entrambi nel tentativo vano di liberarci dai pensieri di una giornata diversamente gravida di esperienze guardando quello che è il cielo stellato sopra di me.

Non deve vedermi, penso, così cerco di annullare la mia tridimensionalità attaccandomi al tetto quanto più posso. Mi vede? Non mi vede? Non lo so, ma penso di si, è posizionato proprio di fronte a me. Per un attimo ho la tentazione di salutarlo, sperando in non so che di preciso...Un gesto d'intesa, qualcosa del genere. Ma resisto. Forse per il mio vicino non c'è nessun cielo stellato sopra di lui, c'è solo la sigaretta, ma nel mio intimo preferisco continuare a credere in questa nostra momentanea e strana continuità di sentimento.

Quanto tempo sono rimasto in quella posizione non so dirlo. Però mi piace per via di questo cambio improvviso di visuale, vedo stelle diverse rispetto a prima, o forse sono le stesse prese da un altra prospettiva, fa lo stesso.

Amo la campagna, da qui sovrasto tutta la città, la riduco ad un oggetto che si presenta intero ed inerme alla mia vista, la posso abbracciare tutta quanta, potrei ridurla con un dito,potrei annullare la sua esistenza semplicemente chiudendo gli occhi. Lo faccio.Per un po' mi diverto nel non riaprirli, curioso di sapere se la ritroverò quando le palpebre si alzeranno. Sì, è ancora al suo posto. Così bella, così luminosa da qui, che di luce non ce ne è eccezion fatta per gli automobilisti distratti e le lampade che il vicino dimentica ogni sera accese: dovrà spendere una fortuna in bollette.

Mi rendo conto che persino dall'altra parte della città,dalla via che contiene i grattacieli popolari, un altra auto che dimentica gli abbaglianti accesi (e lì non ve ne è davvero senso, ci sono i lampioni) può in circostanze particolari riuscire ad illuminarmi. Chissà, forse è sempre lo stesso, non ha granchè da fare, magari si diverte anche lui in questo nostro buffo gioco.

Di stelle per via del ridotto inquinamento luminoso se ne vedono tante, tantissime. Io però non riconosco le costellazioni ad eccezione del piccolo carro, che però si trova troppo alla mia sinistra e mi dà fastidio voltarmi continuamente per guardarlo, così mi concentro su un gruppo di stelle che non so a quale costellazione appartengano, magari è  famosa. Quella è la mia costellazione, a  prescindere dal nome che gli hanno affibbiato. Ci sono tantissime stelle, provo anche a fissare le altre, che pure si sentono escluse, ma torno continuamente sulle mie. Penso sia più che altro una questione di pigrizia, dato che sono quelle che mi stanno direttamente davanti.

Ogni tanto passa qualche aereo, e ne seguo ogni la traiettoria, provando a indovinare da quale punto spariranno dalla mia vista. Non ci azzecco mai, non seguo la loro linea. Eppure dovrebbe essere dritta...Meraviglie della geometria sulla sfera, dovuta a questo buffo gioco prospettico...Eh, se non fosse vissuto nell'ottocento Reimann avrebbe ideato quel suo modello non euclideo guardando gli arei passare e cercando una geometria coerente al moto che continuamente gli sfuggiva. Quest'ultimo è sparito dietro gli alberi affianco la casa del vicino, le due luci che lo componevano andavano via via avvicinandosi, chissà se sarei arrivato a vederle unite se la chioma non me lo avesse impedito.

Più che gli aerei mi affascinano le stelle cadenti. Non esprimo desideri, qualcuno potrebbe parlarmi di fasci meteorici, frammenti spaziali che bruciano a contatto con l'atmosfera e altre amenità del genere, ma non è per quello che non provo ad esprimere un desiderio. In fondo sono convinto che anche gli astronomi che hanno tolto la poesia alle stelle cadenti nel guardarne una sperino nel realizzarsi di qualche loro recondito sogno, per poi negare davanti al proprio io di aver mai avuto un pensiero del genere. Eppure c'è stato, è passato per un breve istante nel loro animo, l'ho visto.
Penso a tutte quelle persone che come me non hanno sonno e stanno guardando il cielo e hanno la fortuna di incrociare quella meteora che brucia, a tutte quelle richieste che vengono puntualmente espresse e che si avvereranno o meno in base a quanto ardore abbiano messo nel loro desiderare. Penso a un Dio qualsiasi, sadico, che si diverte a lanciare queste meteore per illudere qualche uomo che gli stia in realtà dando ascolto, quando in realtà poco dopo che lascia che le stelle cadano si dimentica beatamente di loro e delle tante speranze che con loro ha acceso. Cristo è più sensibile, se ci riesce ferma le stelle cadenti per togliere vane illusioni di vicinanza di Dio agli uomini. è per questo che in città non se ne vedono, ci sono più uomini che possono illudersi, quindi l'impegno di Cristo è maggiore. Ma di me e dei pochi che con me l'hanno vista (ma ci sono?) non se ne cura, non per cattiveria, ma io sono solo, o forse in compagnia di altra gente che non vedo e la città è grande, mica è onnipresente. E per le poche stelle che non riesce a fermare si sforza di esaudire qualche stupida richiesta, per quanto un po' gli secchi. Per questo non esprimo desideri, ha già parecchio da fare non voglio affaticarlo ulteriormente. Bella filosofia il pragmatismo, penso a James che ha teorizzato l'importanza di un idea in base all'ardore che ci mettiamo dentro, è così che abbiamo creato Dio, è così che creiamo il potere delle stelle cadenti. Cristo gli vuole bene tutto sommato a James, anche se l'ha caricato di un superlavoro di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Si, Cristo ferma le stelle cadenti.

Le auto che vengono da Roma non appena escono dalla galleria, contente di questa loro improvvisa libertà si affrettano di comunicarmela anche loro con gli abbaglianti. O forse è lo stesso tizio che usciva dalla superstrada e che poi è passato dall'altra parte della città vicino i grattacieli popolari. Sta facendo un giro davvero strano. Non mi accorgo di questa presenza direttamente, la luce viene dalle mie spalle, ma dal fatto che illumina in modo strano un albero. Sovrasta i tralicci della luce, la città di fronte a me...chi ce l'ha messo? Non l'avevo mai visto prima, non avevo mai fatto caso a questa inquietante presenza. Non è un albero, è un leviatano. Di giorno quell'albero non esiste, se anche provassi a ricreare quella sensazione di giorno non ci riuscirei. Un po' come nel celebre aneddoto di Kandinsky e del quadro appeso di lato, la purezza di una sensazione è tale nel momento in cui viene provata con un accordo spontaneo tra soggetto e oggetto. Di giorno non provo a puntare lo sguardo in direzione di quell'albero, avrei paura di non trovarcelo, di vederlo come non esistente.

No Kant, non c'è nessuna legge morale in me, c'è solo questo cielo stellato, nessun imperativo categorico, vi è solo il tempo condensato  nella durata di questa sigaretta più il tempo di spegnerla. Sono furbo, io, la spengo molto lentamente, così guadagno qualche altro istante. Potrei accenderne un altra, così ne avrei ancora di più, ma ho dimenticato il pacchetto in un cassetto. No, non inganniamo ulteriormente il tempo, già esagero con questo espediente del lento far morire la sigaretta.
Vedi, Kant, se tu fossi qui accanto a me proveresti le medesime sensazioni. Vedresti il mondo in me che proiettato fuori di me, vedresti il mio io fuori di sè è per sè che si riflette in ogni cosa, nell'automobilista col suo buffo tragitto, in Cristo che spegne le stelle cadenti.
Dov'è la morale nel leviatano che esiste solo di notte, nell'aereo che si muove senza meta, nel vicino che dimentica la luce accesa e mi mette così tanta paura di essere scoperto persino a quest'ora? Forse Dio l'ha scritta con l'inchiostro simpatico in me questa legge morale, o la penna si è fermata nell'imprimermi "il cielo stellato sopra di me", non vi era abbastanza inchiostro per finire la frase, e ha lasciato perdere. Non solo sadico, ma anche distratto.
Tutto questo non ha senso, il cielo stellato non ha senso, la legge morale non ha senso, Dio non ha senso, solo Cristo che ferma le stelle cadenti ha senso. Solo Io che avverto l'assenza di senso ho senso. No, aspetta, così non ha senso...Kant, finiscimi la frase tu che di Dio non mi fido, mettimi un po' di legge morale.

5 commenti:

  1. Questo guardare il mondo dal tetto mi ha ricordato L'attimo fuggente, quando il professor Keating invita i ragazzi a salire in piedi sui banchi, solo per avere un nuovo e differente (e più libero) punto di vista.
    Ti imiterei immediatamente, se non avessi un tetto un po' troppo ripido e non soffrissi di vertigini.
    Del Signor Dio non mi fido neanch'io. Mi fido un po' di più di chi scrive cose intelligenti, come te.
    Ciao! :D

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  2. Nella prima casa in cui ho vissuto da studente, la finestra di camera mia sfociava direttamente sul tetto dell'appartamento sottostante al mio. Salivamo sulla scrivania di E. e, un piede dopo l'altro, ci ritrovavamo a incespicare tra le tegole malandate di quel vecchio tetto. Ogni notte in quei mesi che precedono l'afa di agosto, ci stendevamo l'una accanto all'altra, e parlavamo di ogni cosa. Altre volte, salivo solitaria e silenziosa a riflettere, con le camel in tasca e la bellezza della luna ad offuscare ogni altra cosa che solo osasse farsi illuminare da lei. A posteriori, a distanza di cinque anni, ricordo ancora la sensazione di precarietà nel camminare su quel tetto poco sicuro, la bellezza dei tetti di Firenze da quel punto privilegiato, il senso di unicità che, una volta abbandonata quella casa, non sono più riuscita a trovare altrove. E ricordo le stelle. infinite. Anch'io avevo la mia costellazione, chissà se anche la tua è piccola piccola e quasi invisibile.
    Ci ho quasi fatto l'amore su quel tetto. Anche quella notte le stelle erano milioni.
    Da li, anch'io vedevo i miei leviatani, i miei alberi che di giorno non c'erano e, se c'erano, erano travestiti da anonimi cipressi. Ogni tanto, dalla finestra a fianco, un piano più in su, usciva una musica, densa come panna montata, impalpabile come zucchero a velo, fluida come seta. Era un pianista a tesserla ogni volta, un animo in pena probabilmente; non l'ho mai visto e , va da sè, nemmeno mai sentito suonare durante il giorno. Non me ne intendo assolutamente di musica classica, ma suonava in modo impressionante. Non solo per la tecnica, che pur sembrandomi valida, non posso giudicare professionalmente, ma perchè ciò che usciva di li, era così pieno e rotondo, aguzzo e spinoso, soffice e sussurrato, che non riuscivo ad immaginare che fosse un essere umano a produrre quel coagulo di emozioni. E' come quando qualcuno ti parla, qualcuno con la più bella voce che tu abbia mai sentito, talmente commovente da rendere superfluo tutto il resto, inutile il suo avere un volto, un paio di mani, e pure una certa bellezza. Se questa persona è la sua voce, lui era la sua musica, ecco.
    Accidenti a questo post, a cos'ha tirato fuori.
    Accidenti a dio che credo sia morto ben prima di Nietzsche.
    Accidenti alla legge morale e al cielo stellato.
    E grazie a te.

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  3. Scusate il ritardo nella risposta, il pc essendo dotato di vita propria non mi ha concesso la grazia di funzionare decentemente in questi giorni...

    @ zio scriba

    Nella mia profonda ignoranza in fatto di cinema devo ammettere di non aver visto L'attimo fuggente, però ho presente la scena della cattedra e degli alunni che ci salgono sopra...Mi hai fatto venire voglia di rimediare il prima possibile a questa mia lacuna, magari non appena potrò chiudere questa parentesi di studio, ora come ora non ne ho il tempo purtroppo.
    Grazie mille per il bel parallelismo e per la visita, mi ha fatto davvero piacere:)

    @ miwako

    Sai,ho pensato spesso all'idea di condividere il tetto, ma ho sempre avuto paura di perderlo prima ancora che offrirlo agli altri: perdere il mio leviatano tra quello degli altri, perdere la mia costellazione tra quelle degli altri. Come la tua anche la mia è piccola, soffocherebbe vicino ad altre. Per quanto sia un atto di gelosia che capisco si possa ritenere quasi ingiustificato, temo rimarrei con questa orribile sensazione. Ho bisogno di un nuovo tetto, su cui ripartire col costruire una "nostra" costellazione affianco ad una "mia", partire dal presupposto di un insieme su cui ritagliare uno spazio intimo e non un allargamento di questo in funzione degli altri. Un po' come quando si vogliono portare a vivere dei cani nel proprio appartamento: se ve ne è uno non si abituterà alla presenza di un nuovo coinquilino e non lo potrà soffrire, occorre che ci arrivino assieme. Così è per il cielo stellato che vedo da casa mia: voglio tenerlo vergine, mantenerlo tale nel ricordo, anche perchè per via dell'università da qui a un mese non lo vedrò più e potrò costruire un eventuale "nostro". O forse come te non riuscirò a riprovare le medesime sensazioni in un posto diverso quando nella mente vi è "il primo".
    (Oppure, più semplicemente, troverò casa dove mi è impossibile raggiungere il tetto, ma spero sia un caso che non si verificherà)
    In ogni caso, quel pianista invisibile allo sguardo ma non all'anima è qualcosa di così surreale...Ti invidio, unire un simile spettacolo a quello che può offrire una città come può essere Firenze...Grazie per aver condiviso questi tuoi ricordi, davvero...

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  4. Sai, il mio tetto è nato per essere poligamo. Era qualcosa che io ed E. condividevamo dopo aver passato giornate diverse, era una zona franca. E, si, ogni tanto pesava il fatto che non fosse sempre un luogo esclusivo, ma non avrebbe potuto esserlo visto che dividevo la stanza con lei a quel tempo. Il mio era un tetto su cui, per un anno della mia vita, un frammento della mia strada, mi sono rifugiata.
    Il tuo invece è il tetto di casa tua, quella in cui (probabilmente) sei cresciuto,quella che conosci a menadito, tanto da poter raggiungere la cucina di notte al buio, zigzagando con i piedi nel punto esatto del salotto in cui si trova quel portariviste perennemente in mezzo alla stanza. E va bene così, solo tu e i tuoi leviatani. Magari se un giorno avrai un figlio, lo porterai lassù in una notte d'estate in cui, inciampando in qualche ricordo, ripenserai che avevi più o meno la sua età la prima volta che ci sei salito per cercare neanche tu sai cosa. Ma per ora, fino a che non arriva un "noi" (fidanzata/o, figlia/o, cane/furetto che sia), tienitelo stretto il tuo tetto, perchè le cose che vedi da quel punto di vista privilegiato, sono solo tue, nessun altro ha quella prospettiva, i tuoi occhi, la tua costellazione. Eppure, siamo quasi 7 miliardi di persone a questo mondo, tutte originariamente uguali, tutte incredibilrmente diverse; persone che possono setacciare il globo in lungo e in largo, vedendo cose che mille altri prima di noi, mille dopo, ora e sempre, vedere meraviglie e orrori che si trovano sparsi come lentiggini disomogenee in tutto il pianeta; ma quel tetto, quello sterile agglomerato di cemento e tegole da cui siedi e guardi una briciola di mondo, è solo tuo, nessun altro può sedere li e vedere quello che vedi tu.
    Certo, ragionando in questi termini, ognuno ha una visuale privilegiata, ogni punto di vista diventa unico, perchè personale, quindi, in sostanza non ce n'è nessuno di speciale. Ma è proprio in questo dualismo che si sostanzia il fascino dell'umanità, l'universale e l'individuale, siamo tutti uguali, e siamo tutti diversi, un paio d'occhi a testa, fanno 13-14 miliardi di occhi sulla terra, e ancora non ne troverai di uguali. Eppure ce li abbiamo tutti, gli occhi. Trovo sia semplicemente straordinario.

    Grazie a te, per la possibilità di immaginare come ci si sta, sul tuo tetto, grazie per avermi ricordato di quella me stessa col vento tra i capelli e gli occhi al cielo che soleva sedere sul mio. Perfect timing. Ne avevo bisogno.
    un abbraccio

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  5. Questo era il commento che volevo scriverti la prima volta che ho letto questo post. Non c'ero riuscita ora lo pubblico senza leggerlo di nuovo in modo che appaia come avevo deciso.
    Quando mi hai detto che avresti scritto un nuovo post non pensavo che sarebbe stato così bello. Mi avevi detto che non credevi più a niente, invece io c'ho trovato tanta poesia. Anche altre volte mi hai parlato di quel cielo stellato e l'ho amato senza neanche conoscerlo perchè tu me l'hai fatto conoscere attraverso i tuoi occhi. Oggi mi sono innamorata del tuo mondo, anch'io vorrei vederlo così. Grazie per avermi regalato, dopo tutto questo tempo, delle emozioni così forti (sicuramente amplificate da What a wonderful world versione eva cassidy in sottofondo).Dopo aver letto questo post mi sembra di conoscerti come ti conoscevo una volta.

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