venerdì 4 maggio 2012

sesto piano sopra la banca

se non contassi la banca, probabilmente sarebbe l'ottavo piano. o il nono. Non la capisco, questa fissa delle banche, di dotarsi di ingressi così maestosi, porte così alte, mura così spesse. Un tempo erano le chiese ad avere una simile imponenza...ma non è questo il punto.
Il cielo di bologna non è poi un granchè, men che mai visto da casa mia. Poche stelle, troppe luci, troppe ambulanze che sfrecciano recandosi al troppo vicino ospedale Maggiore. Pochi gli uccelli che decidono di cantare, e solo tra le quattro e le sei di notte, mentre provo senza troppa convinzione a preparare l'esame di turno, inframezzati da rumori non meglio identificati...penso si tratti della caldaia della palazzina in cui mi trovo, ma non so se le caldaie facciano rumore. Non me lo sono mai chiesto. Ma non è nemmeno questo il punto.
Amo fumare una (tante) sigaretta seduto sulla finestra, quella della cucina, con la schiena incollata a quel muro troppo esile che tanto freddo ha lasciato passare quest'inverno e le gambe contro l'altro lato, o raramente penzoloni verso l'esterno. Qualche passante può aver pensato che tentassi di suicidarmi. Dal terzo piano però non è che otterrei quel risultato, penso. un giorno lancerò un pomodoro sul marciapiede, vedrò quanto danno può farsi, poi trarrò le conseguenze. Ma non è nemmeno questo il punto.
Qualcosa devo pur guardarlo, mentre fumo quella (quelle) sigaretta. La luna si fa vedere poco, la scritta hotel sulla mia destra non mi ha mai coinvolto particolarmente, non l'avrei nemmeno notata se non fosse stato per la "o" rotta da chissà quanto tempo, la villa con piscina del vicino mi disgusta, i suoi cani mi disgustano, le statue finto-greco mi disgustano ancora di più, come la sua ferrari non esiste nulla che mi disgusti allo stesso modo, ma neanche questo è il punto.
Il punto è che amo guardare davanti a me, l'edificio che ospita anche la banca, la bnl ad essere precisi: l'unicredit è lì affianco, ma ringraziando Dio almeno quella non la riesco a vedere.
all'ultimo piano, al sesto, che poi sarebbe l'ottavo credo se la banca non ne occupasse due o tre, vi è un appartamento con le luci sempre accese. a qualsiasi ora fumi e guardi fuori, quelle due stanze sono sempre illuminate: credo siano la sala e la camera da letto.
Passo più o meno tutto il tempo della sigaretta (tanto, a fumare sono lentissimo) chiedendomi chi sia ad abitarci, chi sia quella persona che non esce mai da quella casa: avrà paura della bnl, credo. Io anche ad abitarci sopra avrei paura.
All'inizio mi ero inventato la storia di un pianista, o di un giornalista di una piccola testata, che passava le nottate o al piano o sul suo pc, fumando anche lui nervosamente. Poi però mi sono chiesto come fosse possibile portare un piano al sesto piano di una casa, anzi del nono, contando la banca. Però il giornalista ha ugualmente perso il suo fascino, ed è rimasto il pianista. Come cosa mi ricorda tanto una scena de "la finestra sul cortile". Così ho continuato a fantasticare su di lui, sulla sua vita, tra il terribile e il meraviglioso, sul suo suonare solo per se stesso probabilmente, ogni tanto per la sua ragazza. Poi però ho pensato che una ragazza non potesse averla, fossi una ragazza non andrei mai da uno che vive sopra una banca.
E così ci siamo trovati solo noi due, io a preparare un esame, lui a comporre, lui che non sa di me, non si affaccia, io che so di lui ma che forse non esiste nemmeno. Quanta vita c'è dietro due finestre illuminate, quante cose stanno succedendo a pochi metri di distanza da me senza che me ne accorga, quanta energia scorre senza che io le degni la benchè minima attenzione? Quanti altri pianisti ci sono dietro le finestre affianco alla sua, quanti dentro la bnl? C'è troppa vita anche nel più squallido dei quartieri di Bologna. E non riesco a coglierla tutta, così mi limito a quella che non solo non conosco, ma che non vedo, e che invento. Ma quel pianista c'è, lo so. Magari il giornalista c'era prima, ma si è trasferito. Non si regge a lungo vivendo sopra una banca.
E invece non c'è nemmeno il pianista. Dopo mesi in cui aspettavo di vederlo, si è accesa la luce della stanza affianco a quella che penso sia la sala, quella che poi ho scoperto essere la luce della cucina. L'ho visto, ed era esattamente come lo immaginavo: capelli neri, occhiali, sigaretta. Poi però ho capito che di notte tutti hanno i capelli neri, e che nei venti metri (credo) che ci separano di notte è impossibile riconoscere degli occhiali. L'ho fissato, non ho staccato i miei occhi di dosso da lui, desideravo riconoscerne i dettagli ma non ci riuscivo. E dire che ho una buona vista. Dio mio, quanto fumava nervosamente. Provavo a sostenere i suoi ritmi, ma proprio non ci riuscivo. Fumo troppo lentamente, l'ho detto. Dovrei fumare molto di più per abituarmi ad avere simili intervalli tra un tiro e l'altro. Guardami, ho pensato. E io ti saluterei, riconosceresti un cenno della mia mano nonostante sappia di apparirti come un contorno nero non meglio identificato. Chissà come appaio da lontano, con una sigaretta, riconoscendo solo molto confusamente le mie misure. Forse apparirei molto bello. Forse apparirei come una donna, con le spalle che mi ritrovo. Però non mi ha guardato, me ne sarei accorto, per quanto sia impossibile percepire il suo sguardo da questa distanza. Ha tenuto le braccia penzoloni fuori dalla finestra, io le gambe. Non mi vede, ha proprio tutt'altro per la testa. A cosa starà pensando mentre durante un mio tiro riesce a farne addirittura tre? DI nuovo, quanta vita c'è davanti ai miei occhi, quanti universi ci sono tra me e lui che non posso conoscere, di cui non mi sta rendendo partecipe? Ho aspettato per mesi di conoscerti e non mi noti? Girati, poniti sotto la luce della cucina, dimmi chi sei.
Butta la sigaretta, con rabbia quasi. Ha coperto una distanza notevole. Sta per rientrare, ma indugia un po', sta prendendo un bicchiere d'acqua. Poi capisco l'errore madornale che ho fatto. Si tratta di una donna. Capelli mossi, credo. Vestito rosso, credo. Mani delicate, belle. Non posso aver visto queste cose al buio e così da lontano, però le ho viste ugualmente. E quel vestito doveva essere bellissimo, lei deve essere bellissima, perchè quelle mani erano bellissime. E devono essere bellissime, delle mani che noti o immagini da   così distante.
A questo punto il gioco ricomincia da capo, devo capire chi è. Non si tratta di una pianista. Vorrei fosse una giovane insegnante di matematica, come in "tutti i nomi" di saramago, con gli stessi problemi, con la stessa foto che ha visto il protagonista del libro (come si chiamava? non lo ricordo più). Lei si suicidò, spero non capiti anche alla donna dal vestito rosso. Però la prossima volta voglio vederla, voglio che mi veda.
Cosa spinge una donna così bella a starsene a casa? Lei non ha paura della bnl, può scendere. Non la riconoscerei per strada, non può aver paura di me. Però voglio davvero tanto salutarla, stabilire un contatto, dirgli che le sono vicino, che la vita non è quel brutto che dicono, (o che dico), che nei venti metri che ci separano c'è più felicità di quanta ne potremo trovare in tutti i romanzi che leggeremo in vent'anni. Perchè legge, nonostante insegni matematica passa ore in camera a leggere. E leggendo Saramago ha riso, ha pensato all'impiegato delle poste che andrà in cerca di lei non sapendola già morta.
Forse anche lei sente gli uccelli cantare alle quattro e mezza, è uno spettacolo che si ripete tutte le notti: tutta quella musica non può essere solo per me, non sarebbe giusto. Forse cantano sapendo che siamo in due ad ascoltarli, per una persona sola non ne varrebbe la pena. Anche stanotte canteranno magari. Per me e per la donna del sesto piano, o dell'ottavo, che non mi conosce e che pure mi saluterà una di queste notti.

venerdì 30 marzo 2012

dream house

cosa sia la dream house è difficile dirlo, per cui non ci proverò nemmeno. per chi è interessato un abbozzo di descrizione è su questo link http://www.aaa-angelica.com/aaa/dream-house
quel che voglio fare non è raccontare l'esperienza vissuta lì dentro, non ne sono capace, descrivere un'onda sonora significa snaturarla...quel che volevo fare era solo trascrivere, con errori o incomprensioni, quel che di getto ho scritto dentro quella stanza. Non so cosa mi avesse spinto a scrivere in quel momento, eppure l'ho fatto...può sembrare non vi sia senso in ciò, però avevo paura di perdere quel foglio, così ora lo copio.

In principio era il verbo, e il verbo era presso Dio, e il verbo non era Dio. E il verbo non era. E il non era era, l'era non era ancora, l'ancora era Dio. e Dio non era, l'era non era Dio, l'era non era Dio, ancora.
ancora
ancora
ancora Dio
non ancora Dio, e non era ancora, non ancora era. e L'onda.
L'onda non era Dio, l'onda era il verbo, che non era presso Dio.
Era solo l'onda, l'onda era, il non era era l'onda.
L'onda. e L'onda sempre era.
E sempre era e non era, sempre sè come onda, non più sè come onda.
E l'onda ancora, era l'onda, ancora l'onda. Solo onda.
E l'onda cambiava, ma non era, non cambiava, perchè sempre era. Epuur cambiava.
Io.
L'onda cambia, io, io cambio l'onda, sono
Non sono, cambia l'onda, cambio io. Io sono.
E l'onda è le onde, le onde non sono l'onda, l'onda è e non è, le onde non sono, eppure sono.
se sono io, io sono.
e sono solo.
E non più onda, ma io. Io sono, Dio non è, l'onda non è, l'onda non è Dio, sono io.
Sono solo io
sono solo
E se sono io, l'onda non è, le nde sono io, io sono l'onda.
E le onde. musica, poesia. Musica sono io
Io sono poesia
Dio non è musica, Dio non è poesia, Dio non è.
E giù, giù, io che sono e sempre sono, che sono il non sono e il non ancora.
ancora sono.
E l'onda è, sempre è, o sono io
Esisto.
E in fondo è tutto qui, modulare l'onda, inclinare il capo ed essere...essere soli, fingersi essenti. Essere assenti e fingersi essenti.
Inventarsi inventori, fare finta di essere nati.
Ma è solo l'onda, sempre l'onda, solo l'onda.
Apri gli occhi, vedi l'onda.
Non esisti.

E...sì, per me tutto ciò ha tutto il senso del mondo.

sabato 10 dicembre 2011

Nostalgia

-Allora, quest'università?
-Solite cose, solita vita, ci piace pensare che sia diventato tutto di colpo diverso, più bello e più vero per il fatto che si è costretti a studiare saggi dai titoli improponibili e vedere professori pieni di sè e non frustrati come al liceo. Ah e per il fatto di non dover rendere conto a nessuno quando ci si sveglia a casa di uno sconosciuto o di qualche ragazza. Però ho scoperto un posto dove fanno il caffè a 70 centesimi. Non che sia un granchè, il bicchiere d'acqua poi te lo danno malvolentieri e solo se glie lo chiedi due volte, però sono pur sempre 70 centesimi.
-Proprio non lo digerisci il fatto che qui il caffè venga 90 centesimi vero? Da quando hanno aumentato il prezzo entri qui dentro sempre malvolentieri...
-No, non lo digerisco. Però qui mi piace, siamo sempre venuti in questa pasticceria tutte le volte in cui ci siamo visti, lo sai che sono un tipo abitudinario tutto sommato.
-Vero...te la ricordi la prima volta? Sarà stato un anno fa ormai, facevamo entrambi finta che l'altro non fumasse, nemmeno ricordo per quale motivo ci eravamo visti per un caffè....
-No.
-Sarà...comunque non ti mancano i giorni in cui ci si poteva vedere qui di continuo, parlare di qualsiasi stupidaggine, dei tuoi improponibili gusti in fatto di letteratura...
-Da quando Pessoa apparterrebbe al gruppo "scrittori improponibili"? Non mi hai mai dato occasione di fartelo conoscere, penso ti potrebbe piacere...ti regalerò un suo libro a Natale magari.
-No non mi riferivo a Pessoa, e comunque non ti pare sia poco indicato dirmi cosa vuoi regalarmi? E soprattutto che bisogno c'è di un regalo, io non te ne ho mai fatti, e non ne ho mai voluti da te.
-Lo so, lo so.
-Ma non è questo il discorso che volevo fare, lasciami finire. Non provi nostalgia per quei tempi, per il liceo, per l'avere a disposizione una macchina e non l'abbonamento del pullman, per il tuo vecchio modo di vivere?
-Quei tempi? non saranno nemmeno passati tre mesi da quando ci siamo trasferiti.
-Non mi hai risposto.
-Offri tu il caffè oggi?
-Ok, anche se la prossima volta è il tuo turno, e insisti nel non rispondermi.
-Grazie mille.
-Figurati.

-Vedi, quando parliamo di nostalgia penso che ci riferiamo a due sensazioni diverse. Secondo me non si può provare nostalgia per ciò che si ha vissuto, per la propria vita. Come mi può mancare qualcosa che è stato, che ha avuto un presente, una sua realtà, che per un attimo è uscito dal nulla, ha avuto una sua essenza, un suo divenire ed è tornato nel nulla?
-Da chi l'hai presa questa frase?
-Severino
-Proprio ti piace fare l'uomo di cultura.
-No, è che è facile inserire qualche frase a caso di un autore che non si ha compreso per rivestire di una patina d'importanza un discorso che non ne ha alcuna.
-Ah, così questo sarebbe un discorso senza importanza?
-Ne esistono forse che ne hanno?
-Quanto ti odio quando fai così...
-Mi odieresti di più se ti chiedessi anche una sigaretta? Sai, alla lunga il tabacco stomaca, poi ho le mani fredde e non riuscirei proprio a prepararmene una
-Fai pure...però continua, ancora non ho capito dove vuoi andare a parare con questo tuo discorso.
-Mettiamola così...A me piace tanto l'immagine della vita come venire dal nulla, poi divenire e di nuovo nulla, ha un che di poetico oltre che di agghiacciante...perchè dovrei avere nostalgia per questo divenire, per ogni cosa che è stata nella mia vita? Dopotutto, è già tornata nel nulla, e non è un pizzico di malinconia che la farà tornare indietro. Ma soprattutto è qualcosa che ho voluto che fosse, che ho deciso di fare, o che ho deciso di non fare, avere, sentire, provare, amare: ha avuto un suo presente, ora non più. Dissolto, svanito, nulla. No, non provo nostalgia per qualcosa che ho già provato.
-Secondo te è una cosa a cui posso credere? Ti rendi conto che il tuo discorso non sta in piedi?
-Nessun discorso sta in piedi.
-Finiscila.
-Scherzavo dai...comunque non mi interessa se non condividi quel che dico, è normale, non pretendo di convincerti, sarebbe stupido. Il fatto è che tutto ciò che è stato mi annoia, la vita così come l'ho vissuta, e il liceo, e la macchina, e l'abbonamento del pullman, e l'edicolante che mi tiene da parte sempre l'ultima copia perchè sa che mi sveglio tardi ma comunque riuscirò a passare da lui anche quel giorno, e l'università...perchè l'ho vissuto, ho compiuto la violenza di strapparlo dal nulla.
Vorrei provare nostalgia, vorrei che mi mancassero le cose a cui tenevo: c'è una ragazza di cui non ti ho mai parlato, l'ho lasciata troppo presto per rendermi conto di quanto invece avrebbe potuto rendermi felice, avrebbe potuto davvero cambiarmi, ma non glie ne ho dato la possibilità. E non mi manca! Come vorrei sentire anche solo un accenno di rimorso...ma non ci riesco.
Tutto ciò che non ho vissuto, di questo si che ho nostalgia! Mi mancano così tanto i libri che non ho letto, le ragazze che non ho conosciuto, gli amici che non ho avuto, le lacrime che non ho versato, i posti che non ho visitato: tutto quel che è rimasto nel nulla e che non ho portato nel divenire.
Non so che farmene di quel che ho avuto. Amo una donna che non esiste, non so amare le persone vere, mi disgustano, amo una città che non è collegata con nessuna strada.
Dimmi, si può provare nostalgia per qualcosa che non ci è mai appartenuto, di cui non abbiamo una minima idea? Un dio lontano mille miglia, che una volta percorse si sposta mille miglia ancora più in là, che non si fa raggiungere perchè sa che verrebbe rifiutato...

-è un rimpiangere le tue scelte? avresti voluto comportarti diversamente?
-No, no, una scelta vale l'altra, nessuna ha più senso di quella che gli si oppone, potevo non venire a prendere questo caffè con te e non sarebbe cambiato assolutamente nulla...non è la strada che ho rifiutato quella che sogno, ma quella che non mi si è mai presentata, quella di cui non posso mai aver avuto un'idea, che in ogni scelta non era percorribile perchè non era stata tracciata. Nostalgia, si, ma per ciò che mi è estraneo! Il resto...nulla, divenire, nulla...ma finchè una cosa rimane sogno è sostanza, esce da questo schema perverso. Mi manca il sogno che non ho avuto tempo nè modo di fare.

-Non ti seguo, e in fondo non ti credo, ma non penso ti importi...rispondimi solo a questo, non ti manco ora che ci vediamo così poco, non ti mancherò quando non ci vedremo più?
-Si, credo di si.
-Ma allora cadi in contraddizione con te stesso, il fatto che io ti manchi non si legherebbe col resto del tuo discorso...non sono anch'io "divenire", non dovrei annoiarti come tutto il resto?
-Si credo in linea di principio si.
-Quindi?
-Quindi...quindi nulla, te l'ho già detto che nessun discorso sta in piedi.

lunedì 22 agosto 2011

Il cielo stellato sopra di me

C'è un punto sull'uscita dalla superstrada Ascoli-mare immediatamente precedente alla prima piccola curva in cui puntualmente dimentico di scalare la marcia e che faccio in quinta piena nonostante il buonsenso mi ricordi che la quarta sia in teoria la scelta migliore. Da quel preciso tratto, non un metro dopo, un automobilista sufficientemente distratto da dimenticarsi gli abbaglianti azionati e che presumibilmente ha anche regolato male l'altezza dei fari è capace di illuminare il tetto della mia casa, ed è lì il posto dove mi trovo.

Non sono mai stato costante nello studio, lo riconosco, e la mia preparazione preuniversitaria si sta riducendo a nient'altro che questo: stare sul tetto a guardare le poche macchine che nonostante la discreta distanza riescono comunque ad illuminarmi.

Si prova una strana sensazione nello stare lì sopra, in primis per i vicini. Vi è un unica abitazione che comprenda nella sua visuale il posto in cui mi trovo. Chissà che sorpresa nel vedere un tale che si arrampica sul tetto di una casa, penserebbero a un ladro, magari chiamerebbero impauriti nel cuore della notte dicendo alla cornetta o al citofono "C'è qualcuno che si muove vicino la vostra finestra della mansarda", poi che risate che mi farei nello spiegare l'equivoco.

Una volta mi è capitato nonostante l'ora decisamente tarda di trovare un uomo ancora sveglio sul balcone, impegnato nel fumarsi un ultima sigaretta prima di addormentarsi. Non abbiamo niente in comune, ci saremo scambiati sì e no qualche parola in tutti questi anni. Eppure in quell'istante siamo stati vicini, ognuno con la sua sigaretta, ognuno con le braccia ugualmente raccolte, entrambi nel tentativo vano di liberarci dai pensieri di una giornata diversamente gravida di esperienze guardando quello che è il cielo stellato sopra di me.

Non deve vedermi, penso, così cerco di annullare la mia tridimensionalità attaccandomi al tetto quanto più posso. Mi vede? Non mi vede? Non lo so, ma penso di si, è posizionato proprio di fronte a me. Per un attimo ho la tentazione di salutarlo, sperando in non so che di preciso...Un gesto d'intesa, qualcosa del genere. Ma resisto. Forse per il mio vicino non c'è nessun cielo stellato sopra di lui, c'è solo la sigaretta, ma nel mio intimo preferisco continuare a credere in questa nostra momentanea e strana continuità di sentimento.

Quanto tempo sono rimasto in quella posizione non so dirlo. Però mi piace per via di questo cambio improvviso di visuale, vedo stelle diverse rispetto a prima, o forse sono le stesse prese da un altra prospettiva, fa lo stesso.

Amo la campagna, da qui sovrasto tutta la città, la riduco ad un oggetto che si presenta intero ed inerme alla mia vista, la posso abbracciare tutta quanta, potrei ridurla con un dito,potrei annullare la sua esistenza semplicemente chiudendo gli occhi. Lo faccio.Per un po' mi diverto nel non riaprirli, curioso di sapere se la ritroverò quando le palpebre si alzeranno. Sì, è ancora al suo posto. Così bella, così luminosa da qui, che di luce non ce ne è eccezion fatta per gli automobilisti distratti e le lampade che il vicino dimentica ogni sera accese: dovrà spendere una fortuna in bollette.

Mi rendo conto che persino dall'altra parte della città,dalla via che contiene i grattacieli popolari, un altra auto che dimentica gli abbaglianti accesi (e lì non ve ne è davvero senso, ci sono i lampioni) può in circostanze particolari riuscire ad illuminarmi. Chissà, forse è sempre lo stesso, non ha granchè da fare, magari si diverte anche lui in questo nostro buffo gioco.

Di stelle per via del ridotto inquinamento luminoso se ne vedono tante, tantissime. Io però non riconosco le costellazioni ad eccezione del piccolo carro, che però si trova troppo alla mia sinistra e mi dà fastidio voltarmi continuamente per guardarlo, così mi concentro su un gruppo di stelle che non so a quale costellazione appartengano, magari è  famosa. Quella è la mia costellazione, a  prescindere dal nome che gli hanno affibbiato. Ci sono tantissime stelle, provo anche a fissare le altre, che pure si sentono escluse, ma torno continuamente sulle mie. Penso sia più che altro una questione di pigrizia, dato che sono quelle che mi stanno direttamente davanti.

Ogni tanto passa qualche aereo, e ne seguo ogni la traiettoria, provando a indovinare da quale punto spariranno dalla mia vista. Non ci azzecco mai, non seguo la loro linea. Eppure dovrebbe essere dritta...Meraviglie della geometria sulla sfera, dovuta a questo buffo gioco prospettico...Eh, se non fosse vissuto nell'ottocento Reimann avrebbe ideato quel suo modello non euclideo guardando gli arei passare e cercando una geometria coerente al moto che continuamente gli sfuggiva. Quest'ultimo è sparito dietro gli alberi affianco la casa del vicino, le due luci che lo componevano andavano via via avvicinandosi, chissà se sarei arrivato a vederle unite se la chioma non me lo avesse impedito.

Più che gli aerei mi affascinano le stelle cadenti. Non esprimo desideri, qualcuno potrebbe parlarmi di fasci meteorici, frammenti spaziali che bruciano a contatto con l'atmosfera e altre amenità del genere, ma non è per quello che non provo ad esprimere un desiderio. In fondo sono convinto che anche gli astronomi che hanno tolto la poesia alle stelle cadenti nel guardarne una sperino nel realizzarsi di qualche loro recondito sogno, per poi negare davanti al proprio io di aver mai avuto un pensiero del genere. Eppure c'è stato, è passato per un breve istante nel loro animo, l'ho visto.
Penso a tutte quelle persone che come me non hanno sonno e stanno guardando il cielo e hanno la fortuna di incrociare quella meteora che brucia, a tutte quelle richieste che vengono puntualmente espresse e che si avvereranno o meno in base a quanto ardore abbiano messo nel loro desiderare. Penso a un Dio qualsiasi, sadico, che si diverte a lanciare queste meteore per illudere qualche uomo che gli stia in realtà dando ascolto, quando in realtà poco dopo che lascia che le stelle cadano si dimentica beatamente di loro e delle tante speranze che con loro ha acceso. Cristo è più sensibile, se ci riesce ferma le stelle cadenti per togliere vane illusioni di vicinanza di Dio agli uomini. è per questo che in città non se ne vedono, ci sono più uomini che possono illudersi, quindi l'impegno di Cristo è maggiore. Ma di me e dei pochi che con me l'hanno vista (ma ci sono?) non se ne cura, non per cattiveria, ma io sono solo, o forse in compagnia di altra gente che non vedo e la città è grande, mica è onnipresente. E per le poche stelle che non riesce a fermare si sforza di esaudire qualche stupida richiesta, per quanto un po' gli secchi. Per questo non esprimo desideri, ha già parecchio da fare non voglio affaticarlo ulteriormente. Bella filosofia il pragmatismo, penso a James che ha teorizzato l'importanza di un idea in base all'ardore che ci mettiamo dentro, è così che abbiamo creato Dio, è così che creiamo il potere delle stelle cadenti. Cristo gli vuole bene tutto sommato a James, anche se l'ha caricato di un superlavoro di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Si, Cristo ferma le stelle cadenti.

Le auto che vengono da Roma non appena escono dalla galleria, contente di questa loro improvvisa libertà si affrettano di comunicarmela anche loro con gli abbaglianti. O forse è lo stesso tizio che usciva dalla superstrada e che poi è passato dall'altra parte della città vicino i grattacieli popolari. Sta facendo un giro davvero strano. Non mi accorgo di questa presenza direttamente, la luce viene dalle mie spalle, ma dal fatto che illumina in modo strano un albero. Sovrasta i tralicci della luce, la città di fronte a me...chi ce l'ha messo? Non l'avevo mai visto prima, non avevo mai fatto caso a questa inquietante presenza. Non è un albero, è un leviatano. Di giorno quell'albero non esiste, se anche provassi a ricreare quella sensazione di giorno non ci riuscirei. Un po' come nel celebre aneddoto di Kandinsky e del quadro appeso di lato, la purezza di una sensazione è tale nel momento in cui viene provata con un accordo spontaneo tra soggetto e oggetto. Di giorno non provo a puntare lo sguardo in direzione di quell'albero, avrei paura di non trovarcelo, di vederlo come non esistente.

No Kant, non c'è nessuna legge morale in me, c'è solo questo cielo stellato, nessun imperativo categorico, vi è solo il tempo condensato  nella durata di questa sigaretta più il tempo di spegnerla. Sono furbo, io, la spengo molto lentamente, così guadagno qualche altro istante. Potrei accenderne un altra, così ne avrei ancora di più, ma ho dimenticato il pacchetto in un cassetto. No, non inganniamo ulteriormente il tempo, già esagero con questo espediente del lento far morire la sigaretta.
Vedi, Kant, se tu fossi qui accanto a me proveresti le medesime sensazioni. Vedresti il mondo in me che proiettato fuori di me, vedresti il mio io fuori di sè è per sè che si riflette in ogni cosa, nell'automobilista col suo buffo tragitto, in Cristo che spegne le stelle cadenti.
Dov'è la morale nel leviatano che esiste solo di notte, nell'aereo che si muove senza meta, nel vicino che dimentica la luce accesa e mi mette così tanta paura di essere scoperto persino a quest'ora? Forse Dio l'ha scritta con l'inchiostro simpatico in me questa legge morale, o la penna si è fermata nell'imprimermi "il cielo stellato sopra di me", non vi era abbastanza inchiostro per finire la frase, e ha lasciato perdere. Non solo sadico, ma anche distratto.
Tutto questo non ha senso, il cielo stellato non ha senso, la legge morale non ha senso, Dio non ha senso, solo Cristo che ferma le stelle cadenti ha senso. Solo Io che avverto l'assenza di senso ho senso. No, aspetta, così non ha senso...Kant, finiscimi la frase tu che di Dio non mi fido, mettimi un po' di legge morale.

sabato 18 dicembre 2010

Piano a due

"Un po' più vicini...Ecco, così. Ora gli sgabelli sono in posizione ideale per entrambi: ciò non toglie che averne uno unico sarebbe stato certamente migliore, e anche più elegante. Dovrò fare reclamo per questa cosa a serata conclusa"

Doveva aver pensato una cosa del genere l'uomo nell'aver dovuto sottrarre secondi preziosi all'esecuzione nel far combaciare i due posti a sedere, alzarsi per un attimo dal suo piano per prendere il secondo, posto manco a dirlo dall'altro lato della parete, interrompendo così per un attimo il contatto delle dita con i tasti del pianoforte. Certo, avrebbe potuto pensarci prima, tenerlo a portata di mano, ridurre questo angoscioso scarto, ma in fondo è la stessa cosa di quando si aspetta una chiamata importante e si sta facendo l'amore. Ci si è dimenticati di tenere il telefono senza fili affianco il letto tanto ci si è lasciati vincere dal desiderio, ricordandosene solo nel momento in cui impietoso lo si sente squillare: per lui doveva essere stata la stessa cosa, bramoso di sentire il suono di quel piano, vedere quanto accurata fosse stata l'accordatura, a tutto aveva pensato meno che a quello stupido sgabello. Rise...chissà come gli era venuta in mente una similitudine del genere, e si divertì nel supporre che anche il musicista aveva pensato la stessa identica cosa. Ma ora non importava più nulla, nè telefoni, nè sgabelli, nè altro: la compagna del pianista si era seduta, si poteva iniziare.

Non aveva mai assistito all'esecuzione di un valzer a quattro mani: magari poteva averlo sentito in qualche cd, su internet...ma dal vivo no, era la prima volta.
Ecco...avevano appena cominciato. Non aveva visto nessuno dei due staccare il tempo: le labbra non si erano mosse, nè le mani o i piedi...forse era autosuggestione, era semplicemente distratto, ma pareva fossero davvero partiti in sincrono unicamente guidati dall'istinto, come se avessero saputo che dovevano iniziare a suonare in quel preciso momento e in nessun altro, perchè prima sarebbe stato semplicemente troppo presto, e dopo altrettanto semplicemente troppo tardi.

Ad essere sinceri più che dell'assenza dello sgabello unico sarebbe stato lecito lamentarsi nel non avere qualcuno che girasse le pagine dello spartito, evitando che anche solo per un secondo o poco più una delle quattro mani dovesse separarsi in un gesto innaturale dalle altre tre. L'uomo avrebbe voluto proporsi, non solo per aggirare il piccolo inconveniente ma anche, forse soprattutto, per vedere e toccare quelli spartiti, sentire con le mani e con le orecchie il freddo inchiostro delle note tradursi in emozioni.

Si trattava di un valzer piuttosto allegro, sebbene non lo si fosse capito fin dall'inizio, la melodia sembrava sempre voler tendere a modi minori e malinconici per poi riprendersi ogni volta all'improvviso...la velocità decisamente sostenuta delle dita non si traduceva in ansia ma in gioia dirompente. L'uomo si rese conto subito di avere a che fare con degli interpreti davvero competenti, era un piacere stare lì seduti ad ascoltarli, chiudere gli occhi e lasciarsi cullare dal dolce suono che proveniva dal piano, provare tutte quelle sensazioni che ogni volta compaiono nell'ascoltare della buona musica. Ma fu nell'aprirli che si rese conto di cosa davvero ci fosse di magico nel suonare il piano a quattro mani.

Un aspetto che aveva tralasciato era la disposizione dei due musicisti: all'uomo spettavano le ottave più alte, alla donna l'uso dei pedali: fu nel guardare i quattro piedi che smise da quel momento fino alla fine dell'esecuzione di prestare attenzione alla musica, come se di punto in bianco fosse diventato sordo da entrambe le orecchie. Vi era un qualcosa di speciale nel modo in cui i piedi della donna si muovevano sui pedali: nel suonarne uno l'altro si divertiva nel muoversi in un modo tutto suo: non teneva il tempo, nè seguiva gli accenti della melodia...pareva danzasse. L'uomo notò che anche i due piedi del compagno, entrambi liberi, seguivano lo stesso ballo. Pareva di vedere sotto il piano una coppia di ballerini divertirsi, sfiorarsi, ridere...ridere? Come se i piedi potessero ridere...eppure era davvero quel che sembrava stessero facendo, se l'uomo avesse dovuto descriverli non avrebbe potuto farlo altrimenti, danzanti e per l'appunto sorridenti. Cercò di seguire i loro movimenti, il loro incedere: pareva stessero facendo pattinaggio artistico su ghiaccio; pur senza toccarsi sembravano così avvinghiati, stretti, parevano riprodurre per uno strano gioco prospettico dal punto di vista dell'uomo una figura particolarmente complicata, di quelle in cui nel guardarle alla televisione si esclama "ecco, adesso la donna cade, non può reggersi in un quella posa, lui non può sostenerla così" eppure ciò non accade e si rimane abbagliati da tanta eleganza.

Dai piedi passò ad osservarne i corpi, i volti: non ci aveva fatto caso ma erano entrambi non così attraenti come si era immaginato in un primo momento: anzi, a dirla tutta la donna era parecchio bruttina. Eppure non mancavano, come i piedi, di grazia: i loro corpi,avrebbe giurato, non erano mai stati fermi dall'inizio alla fine del brano. Ecco, dai corpi riusciva a capire cosa loro provassero nel suonare: i momenti che intuiva dovevano essere più toccanti (intuiva, perchè non stava seguendo più la melodia, non poteva saperlo) erano accompagnati da un incedere dei due busti in avanti, un piegarsi verso il piano, un avvicinare i volti alla tastiera, quasi come violenti colpi di frusta, che in base alla velocità e all'intensità capì significassero in un caso tensione, in un altro rabbia, in un altro focosità...a volte quei gesti venivano accompagnati da un certo sorriso sornione da parte del musicista alla destra o dal sollevare un sopracciglio: in ogni caso a qualunque sensazione si riferissero non mancavano mai di sincronia, quasi i due fossero gemelli siamesi. Un rito di corteggiamento, un sedursi vicendevolmente, un amarsi e odiarsi e perdonarsi in continuazione, non poteva essere altro quel modo di interpretare il brano: non vi può essere musica senza amore nel partener, non si può rimanere ad un rapporto di lavoro...dovevano essere innamorati, amanti da quand'erano poco più che adolescenti...non era possibile altrimenti, troppo il feeling, la musica era collante invisibile tra i due. Se così non fosse stato, se quel tradurre le emozioni dall'inchiostro non avesse portato ad un risultato del genere, qual era allora il senso di quella melodia, da dove nasceva l'impulso a creare sentimenti dal nulla col semplice premere un tasto e percuotere una corda? Avrebbe rinnegato sè stesso e la musica se si fosse sbagliato, doveva esserci amore, di quelli che si esprimono anche solo con l'alzare il sopracciglio.

Si, doveva essere così: il loro farsi trascinare dalla musica non poteva tradursi altrimenti. Vi erano punti del brano in cui tanta era la passione, tanta l'intensità del brano e per il brano accumulatasi in cui poco ci mancava che i due innamorati si alzassero. Proprio che si alzassero! In un momento la donna era praticamente in piedi, accompagnando con questo suo gesto un accordo particolarmente espressivo. Certo che l'impeto doveva essere particolarmente travolgente...L'uomo avrebbe venduto l'anima al diavolo per saper suonare il piano e capire esattamente cosa si provasse in quei frangenti.

Fu interrotto nelle sue riflessioni da alcune risate che sentì provenire alle sue spalle. Si  voltò, un gruppo di ragazzi rideva di gusto. I musicisti non se ne erano accorti presumibilmente, il loro rito d'amore continuava, indifferente ad ogni stimolo esterno. Quasi inorridì nel vedere quei giovani fare la parodia della donna e del compagno. Ripetevano oscenamente quel loro piegarsi in avanti, quell'alzarsi, esasperandoli in ogni aspetto. L'uomo comprese che la mancanza di avvenenza, in particolare nella donna, aveva contribuito a rendere il loro muoversi piuttosto buffo. Non avevano capito nulla...In compenso nell'ascoltarli una volta finito l'odioso scimmiottamento si stupì del fatto che la musica li aveva favorevolmente impressionati, ma non potevano esimersi dal continuare a fare parodie poco dopo.

Improvvisamente il brano finì, senza preavviso, senza che l'uomo se ne fosse accorto. In realtà se avesse prestato attenzione alla melodia si sarebbe reso conto della complicata e meravigliosa preparazione al finale culminata con un magnifico e ogni volta leggermente diverso nel suo incedere turn-around. Senza dirsi una parola, senza guardarsi, i due musicisti si separarono, uscirono dalla stanza da due direzioni diverse, sotto gli applausi scroscianti del pubblico, compresi quelli dei giovani dietro l'uomo, forse addirittura i più entusiasti in assoluto.

Ma cosa era successo in realtà? Tutto quell'amore era vero, una sua immaginazione, si esauriva con l'esaurirsi del brano, era condizione necessaria ma non sufficiente...non l'aveva capito. Le ipotesi si rincorrevano nella sua testa, li vedeva prima sposi di lunga data, poi semplici turnisti che non avevano fatto altro che seguire lo spartito sotto i loro occhi, infine trasgressori, amanti che fuggivano dalle loro rispettive relazioni per queste scappatelle occasionali...Non riusciva a darsi una risposta soddisfacente, tutte le soluzioni parevano egualmente plausibili, ma capì che l'unica cosa che doveva fare era imparare a suonare il pianoforte a quattro mani, imparare a provare quell'amore così estemporaneo: in quel momento ogni dubbio si sarebbe sciolto, avrebbe trovato la risposta e si sarebbe stupito una volta che fosse apparsa nella sua evidenza di non esserne accorto prima.

venerdì 10 dicembre 2010

Mi è morto Renzi

Eccolo...di fronte alla vecchia politica, figlia di tangentopoli e del lato peggiore della prima repubblica, vedo ergersi un uomo nuovo, capace di spazzare con un sol colpo un intera classe dirigente obsoleta, inadeguata, marcia: Renzi.

Modo di dialogare semplice, niente fronzoli, un tipo modesto (e poi diciamocelo, un tipo con la parlata fiorentina ispira fiducia a prescindere): ha l'aria di quel vicino di casa a cui andare a chiedere lo zucchero quando è finito. è sindaco tra la gente, riconosce i propri errori, non si monta la testa eppure sa mettersi in gioco, non si nasconde dentro Palazzo Vecchio, lo si vede passeggiare tra i suoi concittadini, partecipare persino a qualche corsa (questa me l'ha raccontata un amico che proprio in una di queste gare l'ha visto partecipare tra gli altri concorrenti)...Provate a immaginare, non so, Alemanno che corre per le strade di Roma: non ce lo vedo proprio.

Quando tra amici si parlava di politica (Cercando di elevarsi un minimo dal livello "W il Che" o "Boia chi molla è il grido di battaglia", che paradossalmente ho constatato essere più facile a farsi tra adolescenti che tra adulti in linea di massima) ero solito dire "Eh, dovessi votare ora, spererei nella candidatura di Renzi...Pensa che bello averlo come presidente del consiglio". Manco a dirlo, mi sbagliavo di grosso.

Premetto, la mia cultura cinematografica è vergognosa, infima, ridicola, per cui non sono capace di fare altri esempi.
Nel film di Catwoman (visto 5 o 6 anni fa di malavoglia per non fare un dispiacere a mio cugino, per cui lo ricordo a malapena, cito le scene come le ricordo per sommi capi) accade che la protagonista a un certo punto si presenta ad un colloquio con la cattiva del film nella sua abitazione privata, non mi ricordo per quale motivo, cercando di risolvere chissà quale faccenda a modo loro, di nascosto. La cattivona però che fa? Aveva ucciso il marito (di nuovo, non so perchè) e chiama la polizia fingendosi sconvolta dando tutta la colpa alla povera donna gatto, che pensava di ottenere tanto da questo incontro invece si era ritrovata la polizia alle calcagna.

Il mio (ex)amato Renzi bene o male ha fatto la stessa cosa: capisco che hai a cuore la tua città, capisco che Berlusconi a Roma non ce lo trovi mai, capisco che ti ha decantato per anni chissà quali aiuti per Firenze...Ma come diamine ti viene in mente di fare un incontro privato ad Arcore? Stiamo parlando di una delle persone più intelligenti del nostro Paese (un criminale, una piaga, ma stupido non è di sicuro), come hai fatto a non pensare che potesse cogliere l'attimo per riempirti di merda data la tua visita poco istituzionale? Ma soprattutto quanto pensavi di ottenere in questo modo, sono anni che continua a farti promesse che non mantiene e pretendi di risolvere tutto con un'informale cena di pesce?

Non contento di aver fatto vacillare tutta la fede che, illuso, in lui avevo riposto, oggi mi ha dato il colpo di grazia: tutto contento di poter finalmente assistere alla sua linea di difesa essendo ospite della Gruber assieme a Travaglio, sono costretto nell'ascoltarlo a constatare che il mio credo era sbagliato.

Risulta quasi difficile ammetterlo, persino a me stesso, ma devo farmene una ragione: Renzi è un bimbo. Di quelli belli, s'intenda, che quando li vedi nel passeggino non puoi fare a meno di sorridere e intrattenerti con la madre nel dire "ma quanto è tenero", "ma quanto è cresciuto dall'ultima volta, ormai è un ometto" e cose simili, ma bambino fino al midollo, a cui devi ricordare di non accettare e carammelle dagli sconosciuti e che purtroppo babbo natale non esiste.

Ecco, sono questi i due esempi che mi interessano. Quello delle caramelle è riferito ovviamente all'avvenimento di lunedì: non riesco a passarci sopra, come si fa ad essere così ingenui...ma quello del grasso uomo di rosso vestito è più importante (oltretutto anche a tema col periodo), ed è quello che mi ha fatto più male.

Non ce l'ho con Renzi in quanto idealista, sarei il primo degli ipocriti se lo criticassi per una cosa del genere, è un sognatore, ottimista di natura, ma esagera: un po' il candido di Voltaire.
Dal mio punto di vista esagera anche Travaglio nel dire che la politica nel suo modo di vedere non si costruisce sui sogni ma sul far di conto, sui nudi e crudi fatti, in quanto il sogno è ridotto per lui alla stregua di uno slogan, ma in fondo lo capisco, ossessionato com'è (spesso giustamente) dal "sogno" berlusconiano, da quel promettere, evocare, proclamare senza mai fare.

Il limite del sindaco di firenze risiede nel credere nell'esistenza di una politica che verta ancora su ideali, su una distinzione di destra e sinistra a livello culturale: sarei il primo a voler credere in una cosa del genere ma è dall'avvento della seconda repubblica (non che prima fosse così diverso, senza dover fare i soliti nomi) che tutto ciò non ha senso. Sotto questo punto di vista do ragione a Travaglio quando dice che c'è bisogno di programmi chiari, non sogni, non di antiberlusconismo.

Fino a questo punto della trasmissione con un certo sforzo Renzi lo avrei potuto anche salvare, la politica fatta di sogni affascina anche me...ma arriviamo all'esempio di prima, babbo natale. Nel momento in cui deve far capire cos'egli intenda esattamente con sogno, cosa necessaria date le mille sfaccettature che la parola può assumere, accade ciò che non avrei mai voluto accadesse.
Di tutti gli esempi che poteva fare, di tutti gli ideali che poteva pescare, quale ha scelto? Ha detto di credere in soldoni a babbo natale. Ha parlato del grande sogno americano (e già qua ha cominciato male) che ha permesso che venisse eletto uno dei più grandi presidenti degli USA, il nero (ci ha tenuto a sottolinearlo) Obama.

Ma come? Proprio qua mi caschi? L'errore di Arcore te lo avrei anche perdonato dopo un po' di tempo, ma questo no. Tralasciando che a tutti i sedicenti uomini-di-sinistra-che-votano-sempre-a-sinistra-con-la-bandiera-della-pace-con-la-maglietta-di-Obama toglierei il diritto di voto (ma vabbè, io lo toglierei un po' a tutti, sono antidemocratico dopotutto, perlomeno rispetto all'attuale tipo di democrazia, ma su questa cosa ci tornerò un altra volta, basta che non mi si scambi per fascista), non me lo aspettavo minimamente. Anche Renzi, come tanti altri esponenti e di destra e sinistra, vittima di questo inganno, come tanti altri si ostina a credere a babbo natale. Non puoi parlarmi del sogno che ha portato alla carica di presidente un uomo così inetto quale Obama, assunto per motivi ridicoli al rango di simbolo mondiale della sinistra che può vincere (e che proprio per questo continuerà a non vincere, dopotutto se si scelgono certi modelli...che poi per porre sullo stesso piano i democratici americani e la sinistra storica europea ce ne vuole di coraggio). Si è lasciato vincere dal fascino di una figura eterea e insignificante qual è quella dell'attuale presidente degli Stati Uniti, esaltato in quanto nero è riuscito primo nella storia statunitense a ricoprire una carica così importante...per non fare poi nulla. (e questo per quanto mi riguarda è razzismo, non esaltazione dell'eliminazione delle differenze di pelle. Lo si ama perchè è nero, gli si è dato il nobel della pace perchè è nero...come lo si deve chiamare questo atteggiamento?) Eccolo l'idealismo Renziano, pieno di buoni propositi ma vuoto di sostanza.

A conclusione di questo sfogo, scritto di getto tanta era la delusione, ho deciso di abbandonare ogni mia speranza in quest'uomo...
Sorge però ora un problema, se ci saranno elezioni in seguito alla sfiducia (o comunque prima o poi si voterà, a prescindere dal 14 dicembre) dove andare a parare? Saltando a piè pari la destra e l'ancor più odioso terzo polo andiamo a sinistra...
PD?IDV?SEL? Partiti farciti di personalità obsolete, nomi di quella vechia politica che volevo fuggire e che speravo venisse smantellata da Renzi (Guai a chi mi parla di Vendola)...Brutto, davvero brutto a dirsi, ma temo che mi toccherà sperare nel movimento a cinque stelle. Spero di potermi ricredere.

mercoledì 1 dicembre 2010

Cieca

(Jamiroquai, emergency on planet heart: il primo, l'album più bello in assoluto che abbia mai fatto JK...ho questo in sottofondo mentre scrivo, ripetuto all'infinito...stona parecchio col tono del racconto ma non so perchè senza alcun motivo ci tenevo comunque a specificare cosa stessi ascoltando)

La vista: tra tutti i sensi il più menzognero, il più pericoloso. Oppure semplicemente il più vero, la differenza tra le due cose è così evanescente dopotutto.

Urla, pianti, gemiti, soffocati dalle risate delle persone attorno alla piccola creatura: il bambino era appena nato. Tanto lungo e travagliato era stato il parto che l'intero personale si era affezionato al pargolo prima ancora che venisse al mondo e alla madre. La notizia dell'appena avvenuto parto rese tutti euforici nel reparto maternità: tutti erano così impazienti di abbracciare il nuovo venuto che quasi ci si dimenticò si seguire la procedura standard post-nascita: occorreva prima di qualsiasi altra cosa bendare il bambino. La fascia era affianco al letto della neo mamma: per fortuna ci fece caso uno dei tanti infermieri venuti a congratularsi coi genitori e a coccolare il bel maschietto che nel passare la mano sui suoi occhi notò la sua mancanza, altrimenti Dio solo sa cosa sarebbe potuto accadere: si sarebbe potuto imprimere nella sua memoria inconsciamente un pericolosissimo ricordo della vista. Per fortuna ciò non accadde, venne repentinamente stretta attorno al capo del neonato, e già che c'erano tutti all'interno della sala operatoria inconsciamente si assicurarono che la loro fosse salda al proprio posto.

Occorre sapere infatti che ogni persona al mondo (ad eccezione dei più importanti tecnocrati per ovvie ragioni legate al loro ruolo fondamentale) sin dalla propria nascita veniva privata della propria vista per mezzo di una benda che avrebbe portato fino alla fine dei suoi giorni, senza mai avere la possibilità di toglierla. Sebbene all'inizio la decisione avesse trovato la strenua opposizione di artisti d'ogni sorta, a seguito di un acceso dibattito durato anni la proposta venne universalmente accettata.

Troppa, troppa era la tristezza. Troppa era sopratutto la superficialità: la gente era stanca di sentirsi giudicata e di giudicare in base al proprio aspetto esteriore, era un preconcetto, un antico retaggio di un modo di pensare proprio della prima metà del novecento. Per fortuna i tecnocrati liberarono il mondo da quest'inesprimibile angoscia.

"Negro di merda!"
Chi più poteva proferire una simile vergognosa accusa? Il razzismo era stato abolito, i tecnocrati avevano eliminato dal vocabolario questa parola. Quali distinzioni di pelle vi sono dietro una benda? E soprattutto come si poteva discriminare la pelle del prossimo se non si era in grado di sapere di che colore fosse la propria?

Non vi era più alcuna vile alterazione dei rapporti umani a causa della bellezza esteriore: l'amore, l'amicizia, d'un tratto erano ritornati sentimenti puri, sinceri, fondati su un vero scambio di ideali, di pensieri, di passioni: e queste, si sa, son tutte cose che non hanno bisogno d'esser viste.

Non vi era più alcun condizionamento pubblicitario: che senso ha indossare un bell'abito, avere una bella casa, un bel cellulare? Finalmente era tornato l'unico discrimine razionale nel libero mercato: la funzionalità, l'efficienza. I tecnocrati nella loro genialità erano riusciti a creare ciò che stuoli di economisti e moralisti nei secoli avevano potuto solo sognare: un commercio onesto e che venisse incontro alle esigenze del cittadino e non della grande industria, dove l'efficienza è l'unica discriminante nella scelta dei prodotti.

La lettura...oh, quale piacere era diventato la lettura! leggere un libro scritto in Braille era un esperienza sempre nuova, sempre emozionante...sentire le parole scorrere dalla propria mano al proprio animo, avere una correlazione diretta tra il modo in cui si toccava il libro e il proprio stato d'animo...lo si sfiorava e la mano era così delicata se si leggevano storie d'amore, la si passava in fretta se era noioso o al contrario troppo avvincente, tremava se si era scossi, violentava quasi le lettere se si era furiosi.

Tra gli altri vantaggi l'aver perso la vista portò a quello di amplificare gli altri sensi in maniera inaspettata: i cibi avevano assunto un sapore più pieno, più penetrante, le voci e i suoni intessevano sottili armonie prima impercettibili, le sfumature tra una frequenza e l'altra creavano onde che giocavano ad intrecciarsi e districarsi, in una maniera che l'orecchio, sapiente direttore d'orchestra, riusciva a rendere così armoniosa. Per non parlare dell'annusare il profumo di una rosa,o del lasciarsi invadere dall'odore dell'erba appena tagliata:  tutte esperienze che non potevano essere godute appieno se disturbati dagli occhi,ma forse tra tutti i benefici il più bello fu quello per il tatto. Sentire il corpo dell'amata sul proprio, avvertirne ogni curva, vivere ogni sua linea, ogni muscolo contratto o rilassato, goderne di ogni singolo centimetro...come potevano trovare piacere nel sesso coloro che potevano vedere?

Altra conquista fondamentale fu un enorme livello di sincerità diffusa: si può nascondere la propria essenza con un bell'abito, con uno sguardo menzognero, con un viso d'angelo, ma la voce...la voce non può tradire, il corpo non può mentire. Non vi era falsità, non era concepibile.

I tecnocrati erano riusciti insomma a creare quello che si poteva definire tranquillamente un mondo perfetto: lo avevano liberato dai mostri che giravano indisturbati nei secoli precedenti, con l'introduzione della benda lo avevano salvato. Non il fuoco, non la lampadina, non la ruota: la benda era l'invenzione più importante nella storia dell'umanità, e se si doveva ringraziare qualcuno dell'era di felicità diffusa che si stava vivendo e che non sarebbe finita il merito era unicamente loro, dei tecnocrati.

Vivevano tutti in un unico edificio, il palazzo dell'Olimpo. Non vi era giorno che non fosse dedicato al bene della comunità, che si traduceva ora in ricerche in campo medico ora nell'amministrare la cosa pubblica: non vi era bisogno di elezioni, parlamenti, il potere era nelle loro mani e nessuno glie l'avrebbe voluto togliere. E in fondo a che sarebbe servito? Non vi era nessuno al mondo che non li amasse, erano i grandi salvatori, coloro che avevano sottratto la vita al giogo della vista.

Avevano eliminato anche uno dei più grandi problemi di sempre nell'umanità, l'incubo di ogni lavoratore: la disoccupazione. Non vi era più: scomparsa, eliminata, abolita anch'essa. Oltre ad aver razionalizzato industria ed agricoltura creando nuova occupazione, tutta la manodopera in esubero veniva costantemente assorbita dal palazzo dell'Olimpo, dove vi erano sempre del lavoro da fare per rendere migliore l'edificio: bastava presentare un umile richiesta ai tecnocrati, che non sarebbe mai stata rifiutata.



Un nodo fatto male, una benda difettosa, chi può dirlo, ma un giorno ad una ragazza accadde di liberare i suoi occhi dalla prigionia a cui erano stati abituati. Impiegò molto tempo per padroneggiare a sufficienza la dura arte del guardare, non era facile abituare degli occhi rimasti inattivi per anni. Cosa doveva farsene di questo suo fortuito dono?
Provò a spiegarsi alla gente attorno a lei: nel dire che aveva perso la sua benda, che forse avrebbe iniziato a vedere: la gente pensò ad uno scherzo, nessuno se ne era mai liberato da quando era stata introdotta. Impossibile, doveva assolutamente stare scherzando. A nulla valsero i suoi tentativi di far capire che la situazione fosse seria, era stato sentenziato che si trattasse di una burla, e di cattivo gusto oltretutto.
Prese ad osservare il mondo attorno a lei: ne rimase inorridita.

Quel che vide fu qualcosa che le risultò istintivamente completamente ostile, freddo, pur non sapendo perchè. A colpirla fu di primo impatto il fatto che il cielo, l'immensa volta che ricopriva la terra, si diceva, non esisteva: vedeva sopra la sua testa un soffitto angusto, tetro, da cui la poca luce che filtrava illuminava unicamente il palazzo Olimpo. Prese poi a guardarsi intorno. La vista lottò aspramente con gli altri sensi, che si rifiutavano categoricamente di accettare quel che essa osava sostenere a gran voce. Dov'era finito il mondo meraviglioso che conosceva prima? Attorno a lei non vedeva altro che strani oggetti tutti uguali disseminati su tutta la terra fin dove lo sguardo riusciva a seguirli, ma vi era ragione di credere che essi ricoprissero l'intera superficie terrestre.

Dalle reazioni diverse delle persone di fronte a quei misteriosi macchinari capì che non si trattava di altro che di volgarissimi sensori, volti a riprodurre ora un suono, ora un odore, ora una particolare consistenza:  non vi era altro all'infuori di essi e delle strutture che li sostenevano nel mondo, oltre a lei e a quello che riconobbe come il palazzo Olimpo. Lo spettacolo che si presentava davanti ai suoi occhi era angosciante, non sapeva come comportarsi, era come paralizzata. Sensori, sensori, sensori...ovunque, solo sensori, tutti identici. Osservò con orrore persone che portavano l loro naso vicino a un sensore presumibilmente scambiandolo per chissà quale fiore, le venne naturale una rista isterica nell'osservare bambini che pensavano che stessero nuotando mentre non stavano facendo altro che agitare convulsamente le braccia in un mare, si, ma di sensori, e mille altre cose ancora: un sensore che abbaiava, un altro che cinguettava, uno che emanava aria ricca di salsedine...

Decise di recarsi al palazzo dell'Olimpo: sarebbe stata la prima non-tecnocrate a conoscerlo con gli occhi. Osservò che l'interno del palazzo era totalmente diverso da ciò che vi era all'esterno: vi erano un lusso, una bellezza, un armonia evidenti persino a lei che riusciva a vedere da così poco tempo, le pareti trasudavano ricchezza. Fece caso ad un dettaglio non di poco conto: non vi erano sensori (se non in punti specifici di corridoi e stanze che intuì dovessero servire alla numerosa manodopera che quotidianamente vi lavorava), ogni cosa era lì dentro a differenza che nel mondo esterno reale, autentica, ma soprattutto incommensurabilmente ricercata e raffinata.
Osservò i Tecnocrati, erano tutti indubbiamente felici, come e più della gente comune: ridevano, parlavano amabilmente del più e del meno.
Una cosa la colpi in particolare del loro discorrere: nell'intimità del palazzo, lontani dalle orecchie dei cittadini, si chiamavano tra loro con nomi strani: tutti, dal primo all'ultimo, erano nomi di divinità. greche, egizie, romane, nordiche, altre che non riuscì ad associare data la sua scarsa conoscenza dei vari culti e mitologie. All'inizio pensò fosse semplicemente uno scherzo innocente, poi vagando all'interno e all'esterno del palazzo, osservando il loro modo di porsi, ascoltando attentamente i loro discorsi, riuscì a capire. Il dettaglio più significativo tra tutti fu quello di osservare come alcuni tecnocrati sedessero su un divano appoggiando i loro piedi per stare più comodi...sulla schiena dei cittadini, che circondati da sensori stavano credendo invece di compiere chissà quale impegnativo compito: sistemare le piastrelle del pavimento? Controllare una tubatura? Non era quello il problema, tutto ciò era semplicemente assurdo.

Le varie religioni che esistevano nel mondo non erano nient'altro che chimere: erano i tecnocrati i veri Dei, gli unici a permettersi una vita vera, meravigliosa, figure sacre che governavano dal palazzo dell'Olimpo. L'unica funzione dei cittadini era quella di essere nient'altro che dei fedeli: il loro compito è quello di adorarli, idolatrarli, servirli, riverirli, ringraziarli, supplicare la loro intercessione e  offrire sacrifici a loro graditi: erano solo un mezzo per soddisfare la vanità dei tecnocrati. Tutta la catena di produzione era volta a soddisfare unicamente i loro bisogni, tutta la merce affluiva invisibile agli occhi del mondo nel palazzo: gli scarti, l'immondizia, tutto ciò che era sopravvissuto al loro appetito, veniva poi rilasciato al popolo, che coi dovuti sensori credeva di assaporare chissà quali pietanze. Almeno un problema nel mondo lo avevano risolto sul serio: quello dei rifiuti, pensò laconica la ragazza.

Liberare il mondo dalla schiavitù, salvarlo, ricominciare a vivere! Si, era questo ciò che era necessario fare. La ragazza aveva il potere di cambiare l'ordine delle cose, eliminare lo status quo che si era venuto a creare.

Eppure non lo fece. Troppa era la pressione, troppo gravoso l'impegno. Fu così che in lacrime si presentò spontaneamente davanti ai tecnocrati e disse: "vi prego, cancellate la mia memoria dall'esatto momento in cui ho iniziato a vedere e ridatemi una benda, voglio tornare ad essere cieca." Non poterono fare a meno di sorridere.