Il cielo di bologna non è poi un granchè, men che mai visto da casa mia. Poche stelle, troppe luci, troppe ambulanze che sfrecciano recandosi al troppo vicino ospedale Maggiore. Pochi gli uccelli che decidono di cantare, e solo tra le quattro e le sei di notte, mentre provo senza troppa convinzione a preparare l'esame di turno, inframezzati da rumori non meglio identificati...penso si tratti della caldaia della palazzina in cui mi trovo, ma non so se le caldaie facciano rumore. Non me lo sono mai chiesto. Ma non è nemmeno questo il punto.
Amo fumare una (tante) sigaretta seduto sulla finestra, quella della cucina, con la schiena incollata a quel muro troppo esile che tanto freddo ha lasciato passare quest'inverno e le gambe contro l'altro lato, o raramente penzoloni verso l'esterno. Qualche passante può aver pensato che tentassi di suicidarmi. Dal terzo piano però non è che otterrei quel risultato, penso. un giorno lancerò un pomodoro sul marciapiede, vedrò quanto danno può farsi, poi trarrò le conseguenze. Ma non è nemmeno questo il punto.
Qualcosa devo pur guardarlo, mentre fumo quella (quelle) sigaretta. La luna si fa vedere poco, la scritta hotel sulla mia destra non mi ha mai coinvolto particolarmente, non l'avrei nemmeno notata se non fosse stato per la "o" rotta da chissà quanto tempo, la villa con piscina del vicino mi disgusta, i suoi cani mi disgustano, le statue finto-greco mi disgustano ancora di più, come la sua ferrari non esiste nulla che mi disgusti allo stesso modo, ma neanche questo è il punto.
Il punto è che amo guardare davanti a me, l'edificio che ospita anche la banca, la bnl ad essere precisi: l'unicredit è lì affianco, ma ringraziando Dio almeno quella non la riesco a vedere.
all'ultimo piano, al sesto, che poi sarebbe l'ottavo credo se la banca non ne occupasse due o tre, vi è un appartamento con le luci sempre accese. a qualsiasi ora fumi e guardi fuori, quelle due stanze sono sempre illuminate: credo siano la sala e la camera da letto.
Passo più o meno tutto il tempo della sigaretta (tanto, a fumare sono lentissimo) chiedendomi chi sia ad abitarci, chi sia quella persona che non esce mai da quella casa: avrà paura della bnl, credo. Io anche ad abitarci sopra avrei paura.
All'inizio mi ero inventato la storia di un pianista, o di un giornalista di una piccola testata, che passava le nottate o al piano o sul suo pc, fumando anche lui nervosamente. Poi però mi sono chiesto come fosse possibile portare un piano al sesto piano di una casa, anzi del nono, contando la banca. Però il giornalista ha ugualmente perso il suo fascino, ed è rimasto il pianista. Come cosa mi ricorda tanto una scena de "la finestra sul cortile". Così ho continuato a fantasticare su di lui, sulla sua vita, tra il terribile e il meraviglioso, sul suo suonare solo per se stesso probabilmente, ogni tanto per la sua ragazza. Poi però ho pensato che una ragazza non potesse averla, fossi una ragazza non andrei mai da uno che vive sopra una banca.
E così ci siamo trovati solo noi due, io a preparare un esame, lui a comporre, lui che non sa di me, non si affaccia, io che so di lui ma che forse non esiste nemmeno. Quanta vita c'è dietro due finestre illuminate, quante cose stanno succedendo a pochi metri di distanza da me senza che me ne accorga, quanta energia scorre senza che io le degni la benchè minima attenzione? Quanti altri pianisti ci sono dietro le finestre affianco alla sua, quanti dentro la bnl? C'è troppa vita anche nel più squallido dei quartieri di Bologna. E non riesco a coglierla tutta, così mi limito a quella che non solo non conosco, ma che non vedo, e che invento. Ma quel pianista c'è, lo so. Magari il giornalista c'era prima, ma si è trasferito. Non si regge a lungo vivendo sopra una banca.
E invece non c'è nemmeno il pianista. Dopo mesi in cui aspettavo di vederlo, si è accesa la luce della stanza affianco a quella che penso sia la sala, quella che poi ho scoperto essere la luce della cucina. L'ho visto, ed era esattamente come lo immaginavo: capelli neri, occhiali, sigaretta. Poi però ho capito che di notte tutti hanno i capelli neri, e che nei venti metri (credo) che ci separano di notte è impossibile riconoscere degli occhiali. L'ho fissato, non ho staccato i miei occhi di dosso da lui, desideravo riconoscerne i dettagli ma non ci riuscivo. E dire che ho una buona vista. Dio mio, quanto fumava nervosamente. Provavo a sostenere i suoi ritmi, ma proprio non ci riuscivo. Fumo troppo lentamente, l'ho detto. Dovrei fumare molto di più per abituarmi ad avere simili intervalli tra un tiro e l'altro. Guardami, ho pensato. E io ti saluterei, riconosceresti un cenno della mia mano nonostante sappia di apparirti come un contorno nero non meglio identificato. Chissà come appaio da lontano, con una sigaretta, riconoscendo solo molto confusamente le mie misure. Forse apparirei molto bello. Forse apparirei come una donna, con le spalle che mi ritrovo. Però non mi ha guardato, me ne sarei accorto, per quanto sia impossibile percepire il suo sguardo da questa distanza. Ha tenuto le braccia penzoloni fuori dalla finestra, io le gambe. Non mi vede, ha proprio tutt'altro per la testa. A cosa starà pensando mentre durante un mio tiro riesce a farne addirittura tre? DI nuovo, quanta vita c'è davanti ai miei occhi, quanti universi ci sono tra me e lui che non posso conoscere, di cui non mi sta rendendo partecipe? Ho aspettato per mesi di conoscerti e non mi noti? Girati, poniti sotto la luce della cucina, dimmi chi sei.
Butta la sigaretta, con rabbia quasi. Ha coperto una distanza notevole. Sta per rientrare, ma indugia un po', sta prendendo un bicchiere d'acqua. Poi capisco l'errore madornale che ho fatto. Si tratta di una donna. Capelli mossi, credo. Vestito rosso, credo. Mani delicate, belle. Non posso aver visto queste cose al buio e così da lontano, però le ho viste ugualmente. E quel vestito doveva essere bellissimo, lei deve essere bellissima, perchè quelle mani erano bellissime. E devono essere bellissime, delle mani che noti o immagini da così distante.
A questo punto il gioco ricomincia da capo, devo capire chi è. Non si tratta di una pianista. Vorrei fosse una giovane insegnante di matematica, come in "tutti i nomi" di saramago, con gli stessi problemi, con la stessa foto che ha visto il protagonista del libro (come si chiamava? non lo ricordo più). Lei si suicidò, spero non capiti anche alla donna dal vestito rosso. Però la prossima volta voglio vederla, voglio che mi veda.
Cosa spinge una donna così bella a starsene a casa? Lei non ha paura della bnl, può scendere. Non la riconoscerei per strada, non può aver paura di me. Però voglio davvero tanto salutarla, stabilire un contatto, dirgli che le sono vicino, che la vita non è quel brutto che dicono, (o che dico), che nei venti metri che ci separano c'è più felicità di quanta ne potremo trovare in tutti i romanzi che leggeremo in vent'anni. Perchè legge, nonostante insegni matematica passa ore in camera a leggere. E leggendo Saramago ha riso, ha pensato all'impiegato delle poste che andrà in cerca di lei non sapendola già morta.
Forse anche lei sente gli uccelli cantare alle quattro e mezza, è uno spettacolo che si ripete tutte le notti: tutta quella musica non può essere solo per me, non sarebbe giusto. Forse cantano sapendo che siamo in due ad ascoltarli, per una persona sola non ne varrebbe la pena. Anche stanotte canteranno magari. Per me e per la donna del sesto piano, o dell'ottavo, che non mi conosce e che pure mi saluterà una di queste notti.