venerdì 22 ottobre 2010

il bassista

Di ragazzi come lui ce n'erano tanti, non si distingueva per qualcosa in particolare che lo facesse emergere dalla folla. Una persona comune: di lui presumibilmente nel mondo non sarebbe rimasta traccia, nessuno se ne  sarebbe ricordato. Quando si soffermava su questi pensieri si sentiva un po' come il protagonista de "il cappotto" di Gogol: chissà se anche lui avrebbe poi vagato per i ponti e le vie della città come fantasma.

A volte però capita che il destino riservi delle piccole sorprese di cui magari non si comprende immediatamente la portata: al nostro ragazzo successe di trovare un basso. Non importa sapere come lo ottenne: lo comprò? Lo trovò per strada? Oppure era un regalo... La sua provenienza è sconosciuta, ai pochi amici il giovane non lo spiegò mai.

In un primo momento non se ne fece nulla: era lì, in camera, immacolato, quasi avesse avuto paura di profanarlo. Lo guardava, passava intere ore senza dedicarsi ad alcuna altra attività, senza spendere alcuna energia che non fosse rivolta alla pura osservazione e contemplazione; respirava così sommessamente in quelle occasioni che pareva d'esser morto. In fondo, non sapeva come approcciarvisi, amava la musica, ma in quanto a suonare non ne sapeva poi granchè.

Un giorno chiamò un suo amico esperto in materia chiedendogli di dargli un occhiata, quasi fosse un dottore e il basso un paziente, con la differenza che il medico poteva fare la diagnosi senza toccare l'oggetto interessato: guai a corromperlo. L'impressione che se ne fece fu che non si trattava altro che di un comunissimo basso, fuori produzione ormai in quanto sostituito da modelli migliori: non aveva caratteristiche tali da renderlo più appetibile rispetto a modelli della stessa serie, e presumibilmente nemmeno ad altri. "Il basso fatto apposta per me" pensò a metà tra il laconico e l'ironico il ragazzo, che però approfittò della gentilezza dell'amico che gli offrì di prestargli un amplificatore nel caso avesse voluto suonarlo.

Dopo tre settimane di imbarazzo, quasi avesse dovuto approcciare una ragazza (materia su cui è intuibile non fosse poi molto ferrato), lo prese in mano. Il legno era freddo al contatto, eppure sentì il calore diffondersi sin d'entro l'anima. Lo collegò a sè stesso prima ancora che all'amplificatore, erano già diventati tutt'uno. Poi, emozionato, senza sapere nemmeno cosa avrebbe fatto da lì ai successivi attimi, si decise a pizzicare le corde. E fu meraviglioso. Il suono che ne scaturì fu diretta emanazione della gioia che stava provando in quel momento: non si era mai sentito così prima di quel momento. Le sue mani si muovevano come se fossero state progettate per quel preciso momento, procedevano guidate dalla melodia che esse stesse stavano producendo. Ma ciò che più lo colpì non fu la melodia in sè, quanto la qualità del suono. Si era informato, aveva sentito altri bassi identici al suo suonare in quelle tre settimane, ma nessuno di essi corrispondeva a ciò che usciva dall'amplificatore: doveva essere merito delle corde. Chi l'avrebbe mai detto! A tutto aveva pensato tranne che a quest'evenienza: erano loro a rendere tutto così speciale, loro a vibrare all'unisono col suo cuore.

La settimana successiva sembrò essere stata solo frutto della sua immaginazione, tanto veloce stava correndo: non vi era momento che non suonasse, i pochi che doveva dedicare ad altro erano per lui motivo d'angoscia. Non sapeva spiegarlo a sè stesso, non aveva il coraggio di ammetterlo, ma era felice, e conscio del fatto che fino a quel momento era proceduto nella vita come se non avesse mai vissuto veramente.

Ma così come il destino aveva dato, beffardo decise di togliere. Al termine della settimana il giovane si svegliò di buon ora, come per compensare il tempo perduto in tutti quegli anni un poco alla volta, e dedicarsi al suo strumento quanto prima. Cosa provò quando vide che le corde erano sparite non è possibile descriverlo: a che servirebbero parole come disperazione, affanno, perifrasi come "sentì il mondo crollargli addosso" o "pensò fosse men che morto"? A nulla, non sarebbero capaci di rendere l'idea. Rimase fermo a guardare il suo strumento privato del suo tesoro, e se il vento, insensibile, non avesse fatto sbattere la porta alle sue spalle sue spalle sarebbe rimasto in trance da lì all'eternità.

Va da sè che mai e poi mai avrebbe pensato di mettere corde nuove: dissacrarlo così? Giammai, pensò. Per lungo tempo smise di suonare e di vivere, finchè lo stesso amico che gli prestò l'amplificatore lo convinse a concedere al suo basso almeno un tentativo. Non poteva deludere così colui che lo aveva tanto aiutato e stava cercando di farlo anche in quel momento, così malvolentieri accettò il regalo di una nuova muta. Il suono che ne uscì fu sì bello, ma quasi artificiale, freddo...Eppure parve all'orecchio allenato dell'amico davvero eccezionale. Furono dello stesso parere anche tutte le altre persone che lo sentirono: elogiarono il basso e il bassista, le dita e le corde. Folli! Loro non sapevano, non potevano sapere cosa aveva perso.

I primi tempi fu davvero dura, dovette autoimporsi di suonare quotidianamente, ma lo faceva più per non deludere il basso che non per soddisfare sè stesso: almeno questo glie lo doveva. Poi però pian piano cominciò a farci l'abitudine: nascose il ricordo sotto un macigno composto da elogi degli amici e dal piacere personale per l'aver imparato a conoscere il suo basso in ogni suo aspetto; ci pensò il tempo ad amalgamare il tutto per far sì che delle vecchie corde non rimase che una piacevole impressione. Oh, si, che suono meraviglioso! però perchè lamentarsi di quelle attuali? D'altronde, tutti erano entusiasti del suono che ne scaturiva, e l'entusiasmo, si sa, è contagioso.

Va riconosciuto comunque che le trame del destino rimangono spesso ignote, nessuno capirà mai perchè agisca in un dato modo o in un altro: ma stavolta forse esagerò. Dovette ricorrere a tutta la sua forza per spostare il masso che il ragazzo aveva creato, e d'incanto le vecchie corde tornarono.

Quale fu la sorpresa!  Era impossibile, non c'era alcuna spiegazione logica. Guardò le corde, e disse loro che non aveva il coraggio di toccarle un altra volta. E se fossero sparite di nuovo? Chi gli diceva poi che  tutto ciò non fosse il frutto della sua immaginazione? Caso strano, parve quasi che le corde gli stessero rispondendo, ponendogli gli stessi quesiti: chissà dov'erano state, si chiese...Avranno sofferto anche loro la medesima nostalgia? Avranno creato anche loro un masso? Ma che importava ormai...Erano tornate.

Non lo disse a nessuno, tra lui e le corde vi era una sorta di affinità elettiva, nessuno avrebbe dovuto turbarla. Come una sorta di anacronistica Penelope, di giorno montava una muta qualunque per il diletto degli amici, la notte da solo rimetteva quella che amava, scusandosi ogni volta dello stratagemma, ma a lui piaceva credere che ogni volta le corde lo perdonassero.

Pensò anche di rendere partecipe il mondo di questa sua ritrovata armonia, ma nel momento stesso in cui concepì quel pensiero, ecco che le corde sparirono. Ecco, aveva spezzato l'incantesimo! Perchè aveva avuto questo impulso di vanità, questo momento di ordinaria follia? Non seppe spiegarselo. Passò le notti seguenti ad implorare le corde di tornare, ma non lo fecero. Non provò nemmeno a montare un altra muta, mai più quel basso avrebbe dovuto suonare senza le corde che gli erano destinate, era un peccato mortale contro la sua natura, contro la loro natura.

La storia qui si conclude, se le corde decisero di tornare dal ragazzo non è noto, ma è bello ricordare quest'episodio che accadde qualche mese dopo l'infausto evento. La nostalgia era troppa nel cuore del giovane: non sopportava la vista del basso inutilizzato, l'idea che potesse essere preda della polvere, diventare la casa di qualche ragno magari. Fece quello che può apparire come un gesto irrazionale, eppure fu tra tutti il più sincero: lo suonò. Senza corde, senza amplificatore, senza un ascoltatore. Passò la notte a immaginare melodie sempre nuove, ora tristi, ora felici, di tutte le correnti musicali possibili, suonò la musica in ogni sua sfaccettatura. E la gioia che provò fu grande: ripetè questo rituale ogni notte, e in base all'umore con cui si apprestava a concludere la giornata creava canzoni diverse, ma parimenti meravigliose. Sognava? Sì, era così, non smetteva mai di ripetersi che stesse sognando. Eppure, si rispondeva, se il sogno ci appare così sincero, se la sensazione che proviamo è la medesima da svegli come da dormienti, qual è la differenza tra sogno e realtà?

5 commenti:

  1. "Quis custodet custodem?"

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  2. non ti si può nascondere nulla:)

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  3. :P ti conosco troppo bene! non mi puoi nascodere queste cose...comunque la cosa bella di questo racconto lo sai qual è?...che io conosco la fine;)

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  4. eh ma così non vale:) poi un po' di rispetto, la storia è la mia e non solo il finale lo sai tu ma manco me lo dici:)?

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