mercoledì 20 ottobre 2010

Storia di un villaggio

In un villaggio, lontano ma non così tanto quanto si possa pensare, viveva una tranquilla comunità di agricoltori. Le terre intorno ad esso erano divise in tantissimi lotti, uno per ogni contadino, di pari estensione, tutti assegnati dal sindaco e tramandati di padre in figlio: la ripartizione era la stessa da generazioni, nemmeno il più vecchio tra gli abitanti ricordava dai racconti dei nonni un momento in cui non fosse esistita o fosse stata diversa.

La vita di campagna era regolata dalle severe leggi del villaggio: erano le stesse sin dalla prima stesura, non avevano mai subito nessun cambiamento, e anche a volerle discutere nessuno probabilmente si sarebbe lamentato o avrebbe avanzato qualche nuova proposta: il sistema così concepito funzionava benissimo, a che pro cercarne un altro?
La legge della comunità prevedeva che ogni lotto potesse essere lavorato con un solo tipo di coltivazione, per non impoverire il terreno: per tutti gli altri prodotti si ricorreva al commercio tra i vari contadini. Un altro punto importante prevedeva  che in ogni lotto lavorassero anche i figli dei contadini, affinchè imparassero come coltivare per poter essere in seguito capaci di gestire un lotto proprio, assegnato dal sindaco non appena fossero stati ritenuti sufficientemente capaci.

Ogni campo era recintato, eppure non ve ne era la necessità, non esisteva criminalità. Ma anche le recinzioni si tramandavano da generazioni e nessuno avrebbe mai pensato di toglierle: nati con esse attorno alle loro terre, tutti erano abituati alla loro presenza.

I momenti di più viva comunità erano, come in tutti i villaggi, le sagre e le feste: occasioni in cui si approfittava della presenza di tutti gli abitanti per discutere argomenti di interesse comune, dai più frivoli ai più seri: ma in genere il vino era troppo abbondante in quelle occasioni per poter affrontare discorsi importanti, e del resto non c'erano mai tematiche davvero cruciali da affrontare.

Un giorno un agricoltore, recatosi come sempre al suo campo col figlio per lavorare ebbe una strana impressione: gli sembrava che il suo terreno fosse diventato leggermente più piccolo. Rise di questa sua buffa allucinazione, e rise ancora più forte coi suoi amici quando alla sagra di pochi giorni dopo anche altri contadini gli descrissero quella stessa sensazione: certo che ne accadono di cose strane, pensò!
il fenomeno però continuò a ripetersi, ogni giorno che passava a ogni contadino sembrava che il proprio lotto non facesse che diminuire. Si iniziò a prendere la cosa sul serio.
La domenica successiva alla festa patronale tutti i contadini parlarono di questo stranissimo evento: i più asserivano che si trattasse di mera suggestione, altri che qualche contadino invidioso stesse cercando di aumentare i propri territori a discapito di altri membri della comunità, altri avanzarono teorie tra le più disparate: la baraonda fu generale e la mattina successiva nessuno diede peso alla cosa.

I mesi passavano, ma la situazione non voleva saperne di cambiare: la questione divenne, se possibile, ancora più evidente per tutti.
Le discussioni divennero più ansiose, qualcuno avanzò l'ipotesi di un complotto del sindaco, e chiunque, contadini e figli di tutto il villaggio, vennero convinti da questa ricostruzione: l'unica cosa da fare era andare a chiedere spiegazioni il giorno successivo.

Eppure la mattina successiva nessuno ripensava alla discussione della sera precedente: il raccolto prima di tutto, occorreva dare da mangiare alle famiglie.
Dopo poco tempo iniziarono i problemi: come è facile immaginare, con terreni sempre più piccoli la produttività diminuì drasticamente, si iniziò quindi a commerciare con più difficoltà.
I contadini erano disperati: era difficile portare avanti il lotto assegnato in queste condizioni: fu necessario fare qualcosa.Chi prima chi dopo, tutti gli agricoltori vendettero i trattori, che vennero comprati dal sindaco e rivenduti al villaggio vicino, ma non fu sufficiente. Non venne più ceduta una parte dei profitti al municipio, che stava privandoli del loro lavoro, delle loro terre: in quelle condizioni era impossibile assicurare una crescita sana delle famiglie. Vennero imposti sacrifici anche ai figli stessi dei contadini: tutti dovevano concorrere alla causa, così un giorno vennero venduti anche i loro giocattoli.
La situazione era diventata drammatica: il giorno dopo quest'ultima scelta venne stabilito di organizzare una manifestazione contro il sindaco, e ogni contadino andò a dormire speranzoso in quella che sarebbe stata la loro lotta più importante.

Ma il giorno dopo gli eventi presero una strana piega: i figli dei contadini non appena si accorsero della perdita dei loro giocattoli si indignarono. non era giusto: loro che colpe avevano di quella situazione? con che coraggio i loro padri decisero di vendere una cosa così importante? venne ingaggiata una lotta tanto spietata quanto inaspettata: i contadini che stavano marciando contro il municipio si trovarono attaccati alle spalle dai propri figli: ne scaturì una lite violentissima, e a fine giornata la stanchezza fu l'armistizio naturale della disputa: senza più energie per combattere contro il municipio, tutti tornarono alle rispettive abitazioni.

Senza più alcuna energia il giorno successivo, cercando di dimenticare gli orrori della giornata precedente, contadini e figli si recarono ai campi, ormai ridotti a fazzoletti. Non appena furono entrati e iniziarono ad arare il poco terreno rimasto le staccionate come per magia si chiusero attorno ogni abitante del villaggio: a nulla servirono le urla, a nulla valsero i tentavi di liberarsi dalle recinzioni animate: furono attimi terribili, la morte fu l'unico sollievo dalla tortura.

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