mercoledì 1 dicembre 2010

Cieca

(Jamiroquai, emergency on planet heart: il primo, l'album più bello in assoluto che abbia mai fatto JK...ho questo in sottofondo mentre scrivo, ripetuto all'infinito...stona parecchio col tono del racconto ma non so perchè senza alcun motivo ci tenevo comunque a specificare cosa stessi ascoltando)

La vista: tra tutti i sensi il più menzognero, il più pericoloso. Oppure semplicemente il più vero, la differenza tra le due cose è così evanescente dopotutto.

Urla, pianti, gemiti, soffocati dalle risate delle persone attorno alla piccola creatura: il bambino era appena nato. Tanto lungo e travagliato era stato il parto che l'intero personale si era affezionato al pargolo prima ancora che venisse al mondo e alla madre. La notizia dell'appena avvenuto parto rese tutti euforici nel reparto maternità: tutti erano così impazienti di abbracciare il nuovo venuto che quasi ci si dimenticò si seguire la procedura standard post-nascita: occorreva prima di qualsiasi altra cosa bendare il bambino. La fascia era affianco al letto della neo mamma: per fortuna ci fece caso uno dei tanti infermieri venuti a congratularsi coi genitori e a coccolare il bel maschietto che nel passare la mano sui suoi occhi notò la sua mancanza, altrimenti Dio solo sa cosa sarebbe potuto accadere: si sarebbe potuto imprimere nella sua memoria inconsciamente un pericolosissimo ricordo della vista. Per fortuna ciò non accadde, venne repentinamente stretta attorno al capo del neonato, e già che c'erano tutti all'interno della sala operatoria inconsciamente si assicurarono che la loro fosse salda al proprio posto.

Occorre sapere infatti che ogni persona al mondo (ad eccezione dei più importanti tecnocrati per ovvie ragioni legate al loro ruolo fondamentale) sin dalla propria nascita veniva privata della propria vista per mezzo di una benda che avrebbe portato fino alla fine dei suoi giorni, senza mai avere la possibilità di toglierla. Sebbene all'inizio la decisione avesse trovato la strenua opposizione di artisti d'ogni sorta, a seguito di un acceso dibattito durato anni la proposta venne universalmente accettata.

Troppa, troppa era la tristezza. Troppa era sopratutto la superficialità: la gente era stanca di sentirsi giudicata e di giudicare in base al proprio aspetto esteriore, era un preconcetto, un antico retaggio di un modo di pensare proprio della prima metà del novecento. Per fortuna i tecnocrati liberarono il mondo da quest'inesprimibile angoscia.

"Negro di merda!"
Chi più poteva proferire una simile vergognosa accusa? Il razzismo era stato abolito, i tecnocrati avevano eliminato dal vocabolario questa parola. Quali distinzioni di pelle vi sono dietro una benda? E soprattutto come si poteva discriminare la pelle del prossimo se non si era in grado di sapere di che colore fosse la propria?

Non vi era più alcuna vile alterazione dei rapporti umani a causa della bellezza esteriore: l'amore, l'amicizia, d'un tratto erano ritornati sentimenti puri, sinceri, fondati su un vero scambio di ideali, di pensieri, di passioni: e queste, si sa, son tutte cose che non hanno bisogno d'esser viste.

Non vi era più alcun condizionamento pubblicitario: che senso ha indossare un bell'abito, avere una bella casa, un bel cellulare? Finalmente era tornato l'unico discrimine razionale nel libero mercato: la funzionalità, l'efficienza. I tecnocrati nella loro genialità erano riusciti a creare ciò che stuoli di economisti e moralisti nei secoli avevano potuto solo sognare: un commercio onesto e che venisse incontro alle esigenze del cittadino e non della grande industria, dove l'efficienza è l'unica discriminante nella scelta dei prodotti.

La lettura...oh, quale piacere era diventato la lettura! leggere un libro scritto in Braille era un esperienza sempre nuova, sempre emozionante...sentire le parole scorrere dalla propria mano al proprio animo, avere una correlazione diretta tra il modo in cui si toccava il libro e il proprio stato d'animo...lo si sfiorava e la mano era così delicata se si leggevano storie d'amore, la si passava in fretta se era noioso o al contrario troppo avvincente, tremava se si era scossi, violentava quasi le lettere se si era furiosi.

Tra gli altri vantaggi l'aver perso la vista portò a quello di amplificare gli altri sensi in maniera inaspettata: i cibi avevano assunto un sapore più pieno, più penetrante, le voci e i suoni intessevano sottili armonie prima impercettibili, le sfumature tra una frequenza e l'altra creavano onde che giocavano ad intrecciarsi e districarsi, in una maniera che l'orecchio, sapiente direttore d'orchestra, riusciva a rendere così armoniosa. Per non parlare dell'annusare il profumo di una rosa,o del lasciarsi invadere dall'odore dell'erba appena tagliata:  tutte esperienze che non potevano essere godute appieno se disturbati dagli occhi,ma forse tra tutti i benefici il più bello fu quello per il tatto. Sentire il corpo dell'amata sul proprio, avvertirne ogni curva, vivere ogni sua linea, ogni muscolo contratto o rilassato, goderne di ogni singolo centimetro...come potevano trovare piacere nel sesso coloro che potevano vedere?

Altra conquista fondamentale fu un enorme livello di sincerità diffusa: si può nascondere la propria essenza con un bell'abito, con uno sguardo menzognero, con un viso d'angelo, ma la voce...la voce non può tradire, il corpo non può mentire. Non vi era falsità, non era concepibile.

I tecnocrati erano riusciti insomma a creare quello che si poteva definire tranquillamente un mondo perfetto: lo avevano liberato dai mostri che giravano indisturbati nei secoli precedenti, con l'introduzione della benda lo avevano salvato. Non il fuoco, non la lampadina, non la ruota: la benda era l'invenzione più importante nella storia dell'umanità, e se si doveva ringraziare qualcuno dell'era di felicità diffusa che si stava vivendo e che non sarebbe finita il merito era unicamente loro, dei tecnocrati.

Vivevano tutti in un unico edificio, il palazzo dell'Olimpo. Non vi era giorno che non fosse dedicato al bene della comunità, che si traduceva ora in ricerche in campo medico ora nell'amministrare la cosa pubblica: non vi era bisogno di elezioni, parlamenti, il potere era nelle loro mani e nessuno glie l'avrebbe voluto togliere. E in fondo a che sarebbe servito? Non vi era nessuno al mondo che non li amasse, erano i grandi salvatori, coloro che avevano sottratto la vita al giogo della vista.

Avevano eliminato anche uno dei più grandi problemi di sempre nell'umanità, l'incubo di ogni lavoratore: la disoccupazione. Non vi era più: scomparsa, eliminata, abolita anch'essa. Oltre ad aver razionalizzato industria ed agricoltura creando nuova occupazione, tutta la manodopera in esubero veniva costantemente assorbita dal palazzo dell'Olimpo, dove vi erano sempre del lavoro da fare per rendere migliore l'edificio: bastava presentare un umile richiesta ai tecnocrati, che non sarebbe mai stata rifiutata.



Un nodo fatto male, una benda difettosa, chi può dirlo, ma un giorno ad una ragazza accadde di liberare i suoi occhi dalla prigionia a cui erano stati abituati. Impiegò molto tempo per padroneggiare a sufficienza la dura arte del guardare, non era facile abituare degli occhi rimasti inattivi per anni. Cosa doveva farsene di questo suo fortuito dono?
Provò a spiegarsi alla gente attorno a lei: nel dire che aveva perso la sua benda, che forse avrebbe iniziato a vedere: la gente pensò ad uno scherzo, nessuno se ne era mai liberato da quando era stata introdotta. Impossibile, doveva assolutamente stare scherzando. A nulla valsero i suoi tentativi di far capire che la situazione fosse seria, era stato sentenziato che si trattasse di una burla, e di cattivo gusto oltretutto.
Prese ad osservare il mondo attorno a lei: ne rimase inorridita.

Quel che vide fu qualcosa che le risultò istintivamente completamente ostile, freddo, pur non sapendo perchè. A colpirla fu di primo impatto il fatto che il cielo, l'immensa volta che ricopriva la terra, si diceva, non esisteva: vedeva sopra la sua testa un soffitto angusto, tetro, da cui la poca luce che filtrava illuminava unicamente il palazzo Olimpo. Prese poi a guardarsi intorno. La vista lottò aspramente con gli altri sensi, che si rifiutavano categoricamente di accettare quel che essa osava sostenere a gran voce. Dov'era finito il mondo meraviglioso che conosceva prima? Attorno a lei non vedeva altro che strani oggetti tutti uguali disseminati su tutta la terra fin dove lo sguardo riusciva a seguirli, ma vi era ragione di credere che essi ricoprissero l'intera superficie terrestre.

Dalle reazioni diverse delle persone di fronte a quei misteriosi macchinari capì che non si trattava di altro che di volgarissimi sensori, volti a riprodurre ora un suono, ora un odore, ora una particolare consistenza:  non vi era altro all'infuori di essi e delle strutture che li sostenevano nel mondo, oltre a lei e a quello che riconobbe come il palazzo Olimpo. Lo spettacolo che si presentava davanti ai suoi occhi era angosciante, non sapeva come comportarsi, era come paralizzata. Sensori, sensori, sensori...ovunque, solo sensori, tutti identici. Osservò con orrore persone che portavano l loro naso vicino a un sensore presumibilmente scambiandolo per chissà quale fiore, le venne naturale una rista isterica nell'osservare bambini che pensavano che stessero nuotando mentre non stavano facendo altro che agitare convulsamente le braccia in un mare, si, ma di sensori, e mille altre cose ancora: un sensore che abbaiava, un altro che cinguettava, uno che emanava aria ricca di salsedine...

Decise di recarsi al palazzo dell'Olimpo: sarebbe stata la prima non-tecnocrate a conoscerlo con gli occhi. Osservò che l'interno del palazzo era totalmente diverso da ciò che vi era all'esterno: vi erano un lusso, una bellezza, un armonia evidenti persino a lei che riusciva a vedere da così poco tempo, le pareti trasudavano ricchezza. Fece caso ad un dettaglio non di poco conto: non vi erano sensori (se non in punti specifici di corridoi e stanze che intuì dovessero servire alla numerosa manodopera che quotidianamente vi lavorava), ogni cosa era lì dentro a differenza che nel mondo esterno reale, autentica, ma soprattutto incommensurabilmente ricercata e raffinata.
Osservò i Tecnocrati, erano tutti indubbiamente felici, come e più della gente comune: ridevano, parlavano amabilmente del più e del meno.
Una cosa la colpi in particolare del loro discorrere: nell'intimità del palazzo, lontani dalle orecchie dei cittadini, si chiamavano tra loro con nomi strani: tutti, dal primo all'ultimo, erano nomi di divinità. greche, egizie, romane, nordiche, altre che non riuscì ad associare data la sua scarsa conoscenza dei vari culti e mitologie. All'inizio pensò fosse semplicemente uno scherzo innocente, poi vagando all'interno e all'esterno del palazzo, osservando il loro modo di porsi, ascoltando attentamente i loro discorsi, riuscì a capire. Il dettaglio più significativo tra tutti fu quello di osservare come alcuni tecnocrati sedessero su un divano appoggiando i loro piedi per stare più comodi...sulla schiena dei cittadini, che circondati da sensori stavano credendo invece di compiere chissà quale impegnativo compito: sistemare le piastrelle del pavimento? Controllare una tubatura? Non era quello il problema, tutto ciò era semplicemente assurdo.

Le varie religioni che esistevano nel mondo non erano nient'altro che chimere: erano i tecnocrati i veri Dei, gli unici a permettersi una vita vera, meravigliosa, figure sacre che governavano dal palazzo dell'Olimpo. L'unica funzione dei cittadini era quella di essere nient'altro che dei fedeli: il loro compito è quello di adorarli, idolatrarli, servirli, riverirli, ringraziarli, supplicare la loro intercessione e  offrire sacrifici a loro graditi: erano solo un mezzo per soddisfare la vanità dei tecnocrati. Tutta la catena di produzione era volta a soddisfare unicamente i loro bisogni, tutta la merce affluiva invisibile agli occhi del mondo nel palazzo: gli scarti, l'immondizia, tutto ciò che era sopravvissuto al loro appetito, veniva poi rilasciato al popolo, che coi dovuti sensori credeva di assaporare chissà quali pietanze. Almeno un problema nel mondo lo avevano risolto sul serio: quello dei rifiuti, pensò laconica la ragazza.

Liberare il mondo dalla schiavitù, salvarlo, ricominciare a vivere! Si, era questo ciò che era necessario fare. La ragazza aveva il potere di cambiare l'ordine delle cose, eliminare lo status quo che si era venuto a creare.

Eppure non lo fece. Troppa era la pressione, troppo gravoso l'impegno. Fu così che in lacrime si presentò spontaneamente davanti ai tecnocrati e disse: "vi prego, cancellate la mia memoria dall'esatto momento in cui ho iniziato a vedere e ridatemi una benda, voglio tornare ad essere cieca." Non poterono fare a meno di sorridere.

4 commenti:

  1. Bellissimo. E VERO! Comunque mi ha ricordato lontanamente il mito della caverna non so perchè:)

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  2. Platone c'entra fino a un certo punto...il parallelismo con l'uscire allo scoperto e il vedere com'è il mondo si esaurisce nel momento in cui anzichè provare a liberare gli altri prigionieri nella caverna la ragazza si incatena nuovamente e volontariamente...e per inciso questa cosa l'ho notata solo ora che me l'hai detta tu, è assolutamente casuale come simmetria non era un adattarsi a quello schema voluto, pensavo a tutto fuorchè al mito della caverna in quel momento...comunque grazie:)

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  3. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. (Giovanni, 3, 19)

    Non sono religioso, ma il Vangelo secondo Giovanni è una delle mie opere preferite.

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